Thomas Sankara e “la terra degli uomini integri” (IX parte)

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Prima di procedere con l’epilogo della vicenda umana e politica di Thomas Sankara, riteniamo necessario pubblicare un altro dei suoi discorsi: si tratta di un discorso incentrato sulla figura della donna.

Un discorso di un’attualità sconcertante, che pone un altro, l’ennesimo, tassello atto ad inquadrare la potenza dell’impegno civile di Sankara.

Come abbiamo già avuto modo di descrivere nell’articolo sulle riforme attuate durante il suo governo, Sankara pose un enorme accento sulla figura della donna, sulla questione della parità di diritti, sulla creazione di possibilità di autonomia del mondo femminile, troppo spesso ancorato alla figura maschile.

Il discorso è datato 8 marzo 1987, l’occasione “La giornata internazionale della donna” a Ouagadougou: è piuttosto lungo ed articolato, ma abbiamo ritenuto necessario pubblicarlo integralmente e senza modifiche di sorta.

Discorso sulle donne

Non accade spesso che un uomo si possa rivolgere a così tante donne in una volta. Né accade spesso che un uomo possa suggerire a così tante donne in una sola volta le nuove lotte da intraprendere.
 
La prima timidezza che assale l’uomo coincide con il momento in cui diviene cosciente che sta guardando una donna. Così, compagne militanti, capirete che malgrado la gioia e il piacere che provo a indirizzarmi a voi, rimango comunque un uomo, che vede in ciascuna di voi la madre, la sorella o la sposa. Vorrei anche che le nostre sorelle venute sin qui da Kadiogo e che non comprendono il francese – la lingua straniera in cui pronuncerò questo discorso – siano indulgenti con noi come lo sono sempre state, loro che, nostre madri, hanno accettato di portarci nel ventre per nove mesi senza lamentarsi.
 
Compagne, la notte del 4 agosto ha dato al popolo burkinabé un nome e al nostro paese un orizzonte. Corroborati dalla linfa vivificante della libertà, i burkinabé, gli umiliati e proscritti di ieri, hanno ricevuto lo scettro di quel che c’e di più Caro al mondo: la dignità e l’onore. Da allora, la felicità e diventata accessibile e ogni giorno avanziamo nella sua direzione, mentre le nostre lotte testimoniano i grandi passi avanti che abbiamo già compiuto. Ma la felicità egoista non è che un’illusione e noi abbiamo una grande assente: la donna. La donna è stata esclusa da questa processione felice.
 
Se degli uomini sono già ora vicini al grande giardino della rivoluzione, le donne sono ancora confinate nella loro oscurità spersonalizzante, confrontandosi in silenzio o con clamore sulle esperienze che stanno trasformando il Burkina Faso e che per loro non sono finora che dei clamori.
 
Per gli uomini, le promesse della rivoluzione sono gia realtà. Per le donne, invece, non sono ancora che rumori. Eppure è da loro che dipendono la verità e l’avvenire della nostra rivoluzione: questioni vitali, questioni essenziali perché nel nostro paese non si potrà fare nulla di completo, nulla di decisivo, nulla di duraturo finché questa parte importante di noi stessi sarà mantenuta in questo assoggettamento imposto per secoli dai diversi sistemi di sfruttamento. Gli uomini e le donne del Burkina Faso dovranno d’ora in poi modificare profondamente l’immagine che hanno di se stessi all’interno di una società che non solo determina nuovi rapporti sociali, ma provoca un mutamento culturale sconvolgendo i rapporti di potere fra uomini e donne ed imponendo agli uni e alle altre di ripensare alla propria natura. E’ un compito temibile ma necessario. Si tratta di permettere alla nostra rivoluzione di dispiegare tutte le sue potenzialità, di rivelare il suo significato autentico in questi rapporti immediati, naturali, necessari, dell’uomo e della donna, che sono i rapporti più naturali fra esseri umani.
 
Ecco dunque fino a che punto il comportamento naturale dell’uomo è diventato umano e fino a che punto la sua natura umana è diventata la sua natura.
 
Questo essere umano, vasto e complesso conglomerato di dolori e gioie, di solitudine nell’abbandono e tuttavia culla creatrice dell’immensa umanità, quest’essere di sofferenza, frustrazione e umiliazione, eppure fonte inesauribile di felicità per ciascuno di noi; luogo incomparabile di ogni affetto, sprone per atti di coraggio più inauditi; questo essere definito debole ma incredibile fonte di ispirazione delle vie che portano all’onore; questo essere, verità carnale e certezza spirituale, questo essere, donne, siete voi! Voi, che ci cullate e accompagnate per tutta la vita, voi compagne della nostra lotta, e che per questo, in tutta giustizia, dovete imporvi come partner eguali nel festeggiare la vittoria della rivoluzione.
 
E’ in questa luce che tutti, uomini e donne, dobbiamo definire e affermare il ruolo e il posto delle donne nella società.
 
Si tratta dunque di restituire all’uomo la sua vera immagine facendo trionfare il regno della libertà al di là delle differenze naturali, liquidando tutti i sistemi ipocriti che consolidano il cinico sfruttamento della donna.
 
In altri termini, porre la questione femminile nella società burkinabé di oggi, è voler abolire il sistema schiavistico in cui la donna è stata mantenuta per millenni. E prima di tutto voler comprendere questo sistema nel suo funzionamento, coglierne la vera natura in tutte le sue sottigliezze per riuscire a condurre un’azione capace di portare all’affrancamento di tutte le donne.
 
In altri termini, per vincere una lotta che è comune alla donna e all’uomo occorre conoscere tutti i contorni della questione femminile, tanto a livello nazionale che universale, e capire che oggi la lotta della donna burkinabé si congiunge alla lotta universale di tutte le donne, e più in generale, a quella per la riabilitazione totale del nostro continente.
 
La condizione della donna è quindi il nodo di tutta la questione umana, qui, là, ovunque. Ha un carattere universale.
 
La lotta di classe e la questione femminile
 
Dobbiamo certamente riconoscere che il materialismo dialettico ha illuminato con forza i problemi legati alla condizione femminile, e questo ci permette di individuare il problema dello sfruttamento della donna all’interno di un sistema generalizzato di sfruttamento, e di definire la società umana non come un fatto naturale immutabile ma come una “antinatura”.
 
L’umanità non subisce passivamente la potenza della natura. La prende su di sé e non si tratta di un’operazione interiore e soggettiva. Avviene oggettivamente nella pratica, se la donna cessa di essere considerata come un semplice organismo sessuato, per prendere coscienza al di là dei dati biologici, del suo valore nell’azione.
 
Inoltre, la coscienza di sé che la donna acquisisce non è definita solo dal suo genere. Riflette una situazione che dipende dalla struttura economica della società, struttura che traduce il degrado dell’evoluzione tecnica e dei rapporti fra le classi a cui è giunta l’umanità.
 
L’importanza del materialismo dialettico è di aver oltrepassato i limiti essenziali della biologia, di essere sfuggito alle tesi semplicistiche dell’asservimento alla specie, per introdurre tutti i fatti nel contesto economico e sociale. Per quanto indietro si risalga nella storia umana, il rapporto dell’uomo con la natura non è mai stato diretto, a corpo nudo. La mano con il pollice prensile è fatta per prolungarsi nello strumento che ne moltiplica il potere. Non sono dunque solo i dati fisici, la muscolatura, la gestazione per esempio, a consacrare la disuguaglianza di status fra l’uomo e la donna. Né questa è stata confermata dall’evoluzione tecnica. In certi casi, e in certe parti del globo, la donna ha potuto annullare la differenza fisica che la separa dall’uomo.
 
È il passaggio da una forma di società a un’altra che giustifica l’istituzionalizzazione di questa disuguaglianza. Una disuguaglianza celata per realizzare concretamente dominio e sfruttamento, ormai rappresentati e vissuti nelle funzioni e nei ruoli in cui abbiamo relegato la donna.
 
La maternità, l’obbligo sociale di essere conforme ai canoni di eleganza desiderati dagli uomini, impediscono alla donna che lo desiderasse di forgiarsi di una muscolatura cosiddetta “maschile”.
 
Per millenni, dal paleolitico all’età del bronzo, secondo autorevoli paleontologi, i rapporti fra i sessi furono di complementarietà positiva. Per ottomila anni ci furono collaborazione e interdipendenza, anziché l’esclusione propria del patriarcato assoluto pressappoco generalizzato della storia successiva.
 
Engels ha descritto l’evoluzione delle tecniche ma anche dell’asservimento storico della donna che nacque con l’apparire della proprietà privata, grazie al passaggio da un modo di produzione ad un altro, da un’organizzazione sociale all’altra.
 
Con il lavoro intensivo necessario per abbattere le foreste, far produrre i campi, trarre il massimo frutto dalla natura, interviene la parcellizzazione dei compiti. L’egoismo, la pigrizia,. la facilità, insomma il maggior profitto con il minimo sforzo emergono dalle profondità dell’uomo e si ergono a principi. La tenerezza protettiva della donna riguardo alla famiglia e al clan diventano la trappola che la consegna al dominio del maschio. L’innocenza e la generosità sono vittime della dissimulazione e di calcoli meschini. Dell’amore ci si fa beffe. La dignità è fatta a pezzi. Tutti i veri sentimenti sono mercificati. A partire da allora, il senso dell’ospitalità e della condivisione tipico delle donne soccombe davanti all’astuzia dei furbi.
 
La donna, pur cosciente dell’inganno che regge la ripartizione ineguale dei compiti, segue l’uomo per curare e allevare tutto ciò che essa ama. Lui, l’uomo, sfrutta al massimo un tale dono di sé. In seguito, il germe dello sfruttamento colpevole codifica regole atroci, che vanno ben al di là delle concessioni coscienti fatte dalla donna, in un tradimento storico.
 
L’umanità conosce la schiavitù con la proprietà privata. L’uomo padrone dei suoi schiavi e della terra diventa anche proprietario della donna. È la grande sconfitta storica del sesso femminile. Si spiega con lo sconvolgimento accaduto nella divisione del lavoro, a causa dei nuovi metodi di produzione e di una rivoluzione nei mezzi di produzione.
 
Allora il diritto paterno si sostituisce al diritto materno; la trasmissione del potere si fa di padre in figlio e non più dalla donna al suo clan. È la comparsa della famiglia patriarcale fondata sulla proprietà personale e unica del padre, diventato capofamiglia. In questa famiglia, la donna è oppressa. Regnando come sovrano, l’uomo soddisfa i propri capricci sessuali, si accoppia con schiave o prostitute. Le donne divengono il suo bottino e la sua conquista commerciale. L’uomo trae profitto dalla loro forza lavoro e gode della diversità dei piaceri che esse gli procurano.
 
Dal canto suo, quando è possibile rendere la pariglia, la donna si vendica con l’infedeltà. Cosi il matrimonio si completa naturalmente con l’adulterio. È la sola difesa della donna contro la schiavitù domestica in cui è tenuta. L’oppressione sociale è l’espressione dell’oppressione economica.
 
In un tale ciclo di violenza, all’ineguaglianza porrà fine solo l’avvento di una società nuova, cioè quando uomini e donne godranno di diritti sociali speciali sorti dagli sconvolgimenti che si verificheranno nei mezzi di produzione e in tutti i rapporti sociali. Così, la sorte delle donne non migliorerà che con la liquidazione del sistema che le sfrutta.
 
Di fatto, attraverso i secoli e ovunque trionfasse il patriarcato, c’e stato un parallelismo stretto fra lo sfruttamento delle classi e il dominio sulle donne. Certocon periodi di schiarite dove delle donne, sacerdotesse o guerriere, hanno scalfito il muro dell’oppressione. Ma l’essenziale, tanto al livello della pratica quotidiana che dell’oppressione intellettuale e morale, è sopravvissuto e si è consolidato. Detronizzata dalla proprietà privata, da questa espulsa, relegata al rango di nutrice e serva, resa inessenziale dai filosofi – Aristotele, Pitagora ed altri – dalle religioni più consolidate, sminuita dai miti, la donna divideva la sorte dello schiavo che nella società schiavistica era giusto un animale da soma dal voltoumano.
 
Non deve dunque stupire che, nella sua fase di conquista, il capitalismo, per cui gli esseri umani nulla erano altro che cifre, sia stato il sistema economico che hasfruttato la donna nel modo più cinico e sofisticato, Citiamo il caso di un fabbricante di quell’epoca che sui suoi telai meccanici dava lavoro solo alle donne. Preferiva donne sposate, e fra queste, quelle che avevano a casa figli di cui occuparsi, perché mostravano più attenzione e docilità delle nubili. Esse lavoravano fino allo sfinimento per procurare ai propri figli i mezzi di sussistenza indispensabili.
 
Ecco come le qualità tipiche della donna sono falsate a suo svantaggio, e tutte le caratteristiche morali e delicate della sua natura diventano altrettanti modi per asservirla. La sua tenerezza, l’amore per la famiglia, la meticolosità che le donne pongono nella propria opera sono utilizzate contro di loro.
 
Così, attraverso gli anni e attraverso i tipi di società, la donna ha conosciuto una triste sorte: quella della disuguaglianza sempre confermata in rapporto all’uomo. Le manifestazioni di questa disuguaglianza hanno preso toni e contorni diversi, ma questa è comunque rimasta la stessa.
 
Nella società schiavistica l’uomo schiavo era considerato come un animale, un mezzo di produzione di beni e servizi. La donna, qualunque fosse il suo rango, era schiacciata all’interno della propria classe e anche all’esterno di questa, se apparteneva alla classe degli sfruttati.
 
Nella società feudale, che si fondava sulla pretesa debolezza fisica o psicologica delle donne, gli uomini le hanno confermate in una dipendenza assoluta dal maschio. Sovente considerata come oggetto sporco o fattore di distrazione, la donna era tenuta lontana dai luoghi di culto, salvo rare eccezioni.
 
Nella società capitalista la donna, già moralmente e socialmente perseguitata, è anche dominata sul piano economico. Mantenuta dall’uomo quando non lavora, lo è ugualmente anche quando si ammazza di lavoro. È impossibile gettare una luce abbastanza forte sulla miseria delle donne, mostrare con forza sufficiente che questa miseria va di pari passo con quella dei proletari.
 
La specificità femminile
 
La donna è solidale con l’uomo.
 
Tuttavia, questa solidarietà nello sfruttamento sociale di cui uomini e donne sono vittime e che lega la sorte dell’uno e dell’altra alla Storia, non deve far perdere di vista la specificità della condizione femminile. Questa oltrepassa le entità economiche, con forme peculiari di oppressione. Una peculiarità che ci impedisce di stabilire delle equazioni che porterebbero a riduzioni facili e infantili. Senza dubbio, nello sfruttamento la donna e l’operaio sono tenuti al silenzio. Ma la moglie dell’operaio è inoltre obbligata ad un ulteriore silenzio, di fronte al marito operaio. In altri termini, allo sfruttamento di classe che è comune ad entrambi, per la donna si aggiunge una relazione con l’uomo, una relazione di opposizione e aggressione che prende pretesto dalle differenze fisiche per imporsi.
 
Occorre ammettere che l’asimmetria fra i generi è quello che caratterizza la società umana, e che questa asimmetria definisce rapporti di sovranità che non ci autorizzano a vedere immediatamente nella donna, anche all’interno della produzione economica, una semplice lavoratrice. Rapporti privilegiati, rapporti pericolosi che fanno sì che la questione della condizione femminile si ponga sempre come un problema.
 
L’uomo prende dunque a pretesto la complessità di questi rapporti per confondere le donne e trarre profitto da tutte le astuzie dello sfruttamento di classe per mantenere il proprio dominio. E così, d’altronde, che degli uomini hanno asservito altri uomini riuscendo ad imporre 1’idea per cui erano superiori a questi ultimi, sulla base dell’origine della famiglia e della nascita, del “diritto divino”. Era l’ordine feudale. In questo stesso modo, d’altronde, altri uomini sono riusciti ad assoggettare popoli interi, perché la loro origine, e le spiegazioni sul colore della pelle sono serviti da giustificazione “scientifica” per dominare quelli che avevano la sfortuna di avere un altro colore. Era l’ordine coloniale. Era l’apartheid.
 
Non possiamo non prestare attenzione alla situazione delle donne, perché e proprio questa che spinge le migliori fra loro a parlare di guerra fra i sessi quando invece si tratta di guerra di clan e di classi, da combattere, insieme, semplicemente nella complementarità. Ma bisogna ammettere che e proprio 1’atteggiamento degli uomini a rendere possibile un tale annullamento dei significati e ad autorizzare ogni audacia semantica da parte del femminismo; qualcuna non è stata nemmeno inutile nella lotta che uomini e donne conducono contro l’oppressione. Una lotta che possiamo vincere, che vinceremo se ritroveremo questa complementarità, se la riconosceremo, se sapremo che vi siamo “condannati”.
 
Intanto, occorre riconoscere che il comportamento maschile, fatto di vanità, irresponsabilità, arroganze e violenze di ogni genere nei confronti della donna, non può certo sfociare in un’azione coordinata contro l’oppressione di quest’ultima. E che dire di quegli atteggiamenti che arrivano alla stupidità e che in realtà non sono che un prodotto dei maschi oppressi i quali sperano di recuperare, brutalizzando la propria donna, un’umanità che il sistema di sfruttamento nega loro.
 
La stupidità maschile si chiama sessismo o machismo, una forma di indigenza intellettuale e morale, nonché di impotenza fisica più o meno dichiarata che obbliga sovente le donne politicamente coscienti a considerare come un dovere la necessità di lotta sui due fronti.
 
Per lottare e vincere le donne devono identificarsi con gli strati e le classi sociali oppresse: operai, contadini…
 
Per oppresso che sia, un uomo trova sempre un essere da opprimere: sua moglie. È una terribile realtà questa. Quando parliamo dell’ignobile sistema dell’apartheid, il nostro pensiero e la nostra emozione vanno ai neri sfruttati e oppressi. Ma dimentichiamo purtroppo la donna nera costretta a subire il suo uomo, un uomo che, munito del lasciapassare, si sente autorizzato ad altri “appuntamenti” prima di andare a ritrovare colei che l’ha atteso degnamente.
 
Pensiamo anche alla donna bianca del Sudafrica, aristocratica, sicuramente circondata dagli agi materiali, ma purtroppo macchina di piacere per quegli osceni uomini bianchi che per dimenticare i propri misfatti nei confronti dei neri non hanno altro che 1’ubriacatura disordinata e perversa di rapporti sessuali brutali.
 
Inoltre, non mancano esempi di uomini progressisti che vivono allegramente nell’adulterio ma che sarebbero pronti ad assassinare la moglie per un semplice sospetto di infedeltà. Sono numerosi qui da noi questi uomini che vanno a cercare delle cosiddette consolazioni nelle braccia di prostitute e cortigiane di ogni sorta! Senza dimenticare i mariti irresponsabili i cui salari non servono che a mantenere amanti e arricchire i venditori di alcolici. E che dire di quei piccoli uomini, anch’essi progressisti, che si ritrovano a parlare in modo lascivo delle donne di cui hanno abusato. Credono cosi di misurarsi con gli altri uomini, o di umiliarli quando conquistano donne sposate.
 
In effetti, non si tratta che di piccoli esseri penosi di cui non avremmo nemmeno parlato se il loro comportamento da delinquenti non offendesse la virtù e la moralità di donne di grande valore che sarebbero state motto utili alla nostra rivoluzione.
 
E poi tutti questi militanti più o meno rivoluzionari, meno che più, che non accettano che le loro mogli militino o lo accettano solo per la militanza durante le ore di luce; e picchiano le loro donne perché sono uscite per una riunione o manifestazione di notte. Ah! Questi sospettosi, questi gelosi! Che povertà di spirito e che impegno solo condizionato, limitato! E forse solo di notte che una donna delusa e decisa può ingannare il marito? E cos’è questo impegno per il quale la militanza si ferma al calare della notte, per riprendere i propri diritti ed esigenze solo all’alba!
 
E cosa pensare poi di tutti quei giudizi sulle donne, sulla bocca dei rivoluzionari pia rivoluzionari? Giudizi come “materialiste, approfittatrici, commedianti, bugiarde matricolate, intriganti, gelose, ecc. ecc.”. Tutto ciò è forse vero per certe donne ma lo è certamente anche per gli uomini! Del resto la nostra società allontana le donne da tutto ciò che è ritenuto serio, determinante, cioè al di sopra delle relazioni subalterne e meschine!
 
Quando si e condannati come le donne ad aspettare il marito padrone per nutrirlo, e a ricevere da lui l’autorizzazione a parlare e a vivere, non rimangono – per occuparsi e crearsi un’illusione di utilità o importanza – che gli sguardi, i sussurri, le chiacchiere, gli sguardi obliqui e invidiosi seguiti da maldicenze sulla civetteria delle altre e sulla loro vita privata. Gli stessi atteggiamenti si ritrovano presso gli uomini che sono nelle stesse condizioni.
 
Delle donne diciamo anche che sono stordite. Ma non dimentichiamo che la donna, accaparrata o anche tormentata da uno sposo leggero, da un marito infedele e irresponsabile, dai problemi dei figli, e oppressa da tutta la famiglia, in queste condizioni non può avere che occhi stravolti che riflettono l’assenza e la distrazione dello spirito. L’oblio, per essa, diventa un antidoto alla sofferenza, l’attenuazione del rigore dell’esistenza, una protezione vitale.
 
Ma ci sono anche uomini immemori, e molti; gli uni persi nell’alcol e negli stupefacenti, gli altri nelle varie forme di perversità a cui si consegnano nel corso delta vita. Tuttavia, nessuno dice mai di loro che sono immemori. Che vanità, che banalità! L’universo maschile, in una società di sfruttamento, ha bisogno di donne prostitute; quelle che vengono sporcate e sacrificate dopo l’uso sull’altare della prosperità di un sistema di menzogne e rapine, non sono che capri espiatori.
 
La prostituzione non è che la quintessenza di una società dove lo sfruttamento è divenuto regola ed è il simbolo del disprezzo che l’uomo prova per la donna. Di questa donna che non è altro che il viso doloroso della madre, della sorella o della sposa di altri uomini, dunque di ciascuno di noi. È, in definitiva, il disprezzo incosciente che proviamo per noi stessi. Là dove ci sono prostitute ci sono “prostitutori” e ruffiani.
 
Ma chi va dalla prostituta?
 
Prima di tutto dei mariti che votano alla castità le loro spose per scaricare sulla prostituta la propria turpitudine e i propri desideri di stupro. Questo permette loro di accordare un apparente rispetto alle loro mogli rivelando la loro vera natura nel ventre della ragazza detta di piacere. Così, sul piano morale, la prostituzione diventa simmetrica rispetto al matrimonio. Ci si fa l’abitudine, sembra, nei riti e nelle tradizioni, nelle religioni e nella morale. È quel che i Padri della chiesa esprimevano dicendo: “Le fogne sono necessarie alla salubrità dei palazzi”.
 
Ci sono poi i gaudenti impenitenti e intemperanti che hanno paura di assumersi la responsabilità di una famiglia con le sue difficoltà e che fuggono i doveri morali e materiali collegati alla paternità. Essi allora cercano l’indirizzo discreto di una casa chiusa come il filo prezioso di un legame senza conseguenze.
 
C’e anche la schiera di tutti quelli che, almeno pubblicamente e nei circoli dei benpensanti, mettono la donna alla berlina. Sia per una rabbia che non hanno il coraggio di superare, e cosi perdono fiducia in ogni donna, ormai dichiarata strumento del diavolo, sia anche per ipocrisia, per aver proclamato, troppo spesso e in modo perentorio contro il genere femminile, un disprezzo che quegli uomini si sforzano di assumere nei confronti della società a cui hanno estorto con l’inganno sentimenti di ammirazione nei propri confronti. Tutti nottetempo si incagliano a ripetizione nei bordelli finché talvolta la loro doppiezza non viene scoperta.
 
La debolezza dell’uomo si ritrova anche nella sua ricerca di situazioni di poliandria. Non vogliamo formulare alcun giudizio su questa forma di rapporto fra uomo e donna che certe civiltà hanno privilegiato. Ma possiamo denunciare il caso dei parchi di gigolo cupidi e fannulloni mantenuti da ricche dame.
 
In questo sistema, sul piano economico la prostituzione può far confondere prostituta e donna sposata “materialista”. Fra la donna che vende il proprio corpo in quanto prostituta e la donna che lo vende nel matrimonio, la sola differenza consiste nel prezzo e nella durata.
 
Tollerando l’esistenza della prostituzione, mettiamo tutte le donne nella stessa condizione: prostitute o sposate. La sola differenza che la moglie legittima, pur oppressa, in quanto sposa beneficia almeno del sigillo di onorabilità che conferisce il matrimonio. Quanto alla prostituta, non resta che l’apprezzamento mercantile del suo corpo, un apprezzamento che fluttua sulla base del valore delle borse fallocratiche.
 
Non è forse un genere che acquista valore o lo perde in funzione del grado di turgore del suo fascino? Non è forse retto dalla legge della domanda e dell’offerta? La prostituzione è una sintesi tragica e dolorosa di tutte le forme di schiavitù femminile. Non dobbiamo dunque vedere in ogni prostituta lo sguardo accusatore che si rivolge a un’intera società. Ogni ruffiano, ogni uomo che si accompagna a una prostituta gira il coltello in questa piaga purulenta e aperta che imbruttisce il mondo degli uomini e lo porta alla perdizione. Dunque, combattendo la prostituzione, tendendo una mano di soccorso alla prostituta, salviamo le nostre madri, le nostre sorelle e le nostre mogli da questa piaga sociale. Salviamo noi stessi. Salviamo il mondo.
 
La condizione della donna in Burkina Faso
 
Se per la società quando nasce un maschietto è un “dono di Dio”, la nascita di una bambina è accolta, se non proprio come una fatalità, come un regalo che servirà a produrre alimenti e a riprodurre il genere umano.
 
Si insegnerà all’ometto a volere ed ottenere, a dire e a essere servito, a desiderare e a prendere, a decidere senza appello. Alla futura donna, la società coralmente infligge e inculca regole senza via d’uscita. Corsetti psichici chiamati virtù creano nella bambina uno spirito di alienazione personale, sviluppano in questa creatura la necessità di protezione e la predisposizione alle alleanze tutelari e ai contratti matrimoniali. Che mostruosa frode mentale!
 
Così, bambina senza infanzia, già all’età di tre anni la piccola dovrà rispondere della sua ragion d’essere: servire, rendersi utile. Mentre il fratello di quattro, cinque o sei anni giocherà fino alla spossatezza o alla noia, lei entrerà senza troppi riguardi nel processo di produzione. Avrà già un lavoro: assistente casalinga. Un’occupazione senza remunerazione, naturalmente, perché non si dice in genere di una donna che sta a casa che “non fa nulla”?
 
Non si scrive nei documenti di identità delle donne non remunerate il sostantivo “casalinga” per indicare che non hanno un’occupazione? Che “non lavorano”?
 
Le nostre sorelle crescono fra riti e obblighi di sottomissione, sempre pia dipendenti, sempre pia dominate, sempre pia sfruttate e con sempre meno tempo libero e svago.
 
Mentre il giovane uomo troverà sulla propria strada occasioni di crescita e di responsabilizzazione, la camicia di forza sociale chiuderà sempre di più la ragazza, a ogni tappa della sua vita. Per essere nata femmina essa pagherà un tributo pesante, per tutta la vita, finche il peso della fatica e gli effetti dell’oblio di sé – fisico e mentale – non la condurranno al giorno del riposo eterno. Fattore di produzione a fianco di sua madre – a partire da allora, più la sua padrona che sua madre – essa non rimarrà mai seduta senza fare nulla, non sarà mai lasciata con i suoi giochi e giocattoli, come suo fratello.
 
Ovunque si guardi, all’altipiano centrale o a nord-est dove predominano le società dal potere fortemente centralizzato, ad ovest dove vivono comunità di villaggio dal potere decentrato, o al sud-ovest, territorio delle collettività dette frammentarie, l’organizzazione sociale tradizionale ha almeno un punto in comune: la subordinazione della donna. In questo campo, i nostri 8.000 villaggi, le nostre 600.000 concessioni e il nostro milione e oltre di famiglie, hanno comportamenti identici o simili. Qui e là, l’imperativo della coesione sociale definita dagli uomini e la sottomissione delle donne accanto alla subordinazione dei fratelli minori.
 
La nostra società, ancora troppo primitiva e agraria, patriarcale e poligamica, fa della donna un oggetto di sfruttamento rispetto alla sua forza lavoro, e di consumo rispetto alla sua funzione di riproduzione biologica.
 
Come vive la donna questa curiosa doppia identità: quella di essere il nodo vitale che salda tutti i membri della famiglia, che garantisce con la sua presenza e la sua attenzione l’unità fondamentale, e quella di essere marginalizzata, ignorata? Una condizione ibrida, con un ostracismo imposto pari solo allo stoicismo della donna. Per vivere in armonia con la società degli uomini, per conformarsi al diktat degli uomini, la donna si chiuderà in una atarassia avvilente, negativa, tramite il dono di se stessa.
 
Donna fonte di vita ma donna oggetto. Madre ma servile domestica. Donna nutrice ma donna alibi. Lavoratrice nei campi e in casa, e tuttavia figura senza voto e senza voce. Donna cerniera, donna convergenza, ma donna in catene, donna ombra all’ombra del maschio.
 
Pilastro del benessere familiare, la donna partorisce, lava, scopa, cucina, riferisce messaggi, e matrona, coltivatrice, guaritrice, ortolana, macinatrice, venditrice, operaia. È una forza lavoro che cumula centinaia di migliaia di ore con rese scoraggianti.
 
Già ai quattro fronti della lotta contro la malattia, la fame, la miseria e la degenerazione, le nostre sorelle subiscono ogni giorno la pressione di cambiamenti che non controllano. Quando uno dei nostri 800.000 migranti maschi parte, la donna si fa carico di un lavoro supplementare. Così, i due milioni di burkinabé che risiedono fuori dal territorio nazionale hanno contribuito ad aggravare lo squilibrio della sex-ratio e cosi, oggi, le donne sono il 51,7% della popolazione totale. Sono il 52,1% della popolazione attiva.
 
Troppo occupata per badare ai propri bambini con l’attenzione sufficiente, troppo spossata per pensare a se stessa, la donna continuerà a sgobbare: ruota di fortuna, ruota di frizione, ruota motrice, ruota di scorta, grande ruota. Ingannate e maltrattate, le donne, nostre sorelle e nostre spose, pagano per averci dato la vita. Socialmente relegate al terzo posto, dopo gli uomini e i bambini, pagano per perpetuare la vita. Allo stesso modo, anche il Terzo mondo è arbitrariamente dominato, sfruttato.
 
Dominata e trasferita da una tutela protettrice sfruttatrice ad una tutela dominatrice ancor più sfruttatrice, prima al lavoro e ultima al riposo, prima ai pozzi e ai boschi e al fuoco del focolare ma ultima a placare la propria sete, autorizzata a mangiare solo quando ne è rimasto un po’; chiave di volta della famiglia, reggendo sulle spalle, nelle mani e nel ventre questa famiglia e la società, la donna è in cambio pagata con un’ideologia oppressiva, con tabù e interdizioni alimentari, con il troppo lavoro, con la malnutrizione, con gravidanze pericolose, con la spersonalizzazione e innumerevoli altri mali che fanno della mortalità materna una delle tare più intollerabili, più indicibili, più vergognose della nostra società.
 
Su questo substrato alienante, 1’intrusione dei rapaci venuti da lontano ha contribuito a fermentare la solitudine delle donne e a peggiorare la precarietà delle loro condizioni.
 
L’euforia dell’indipendenza ha dimenticato la donna nel letto delle speranze castrate. Segregata nelle delibere, assente dalle decisioni, vulnerabile, dunque vittima prediletta, ha continuato a subire la famiglia e la società. Il capitale e la burocrazia hanno collaborato nell’assoggettamento della donna. L’imperialismo ha fatto il resto.
 
Scolarizzate due volte meno degli uomini, analfabete al 99 per cento, poco formate sul piano dei mestieri, discriminate nel lavoro, limitate a funzioni subalterne, assillate e licenziate per prime, le donne, sotto il peso di cento tradizioni e di mille scuse, hanno continuato a raccogliere le sfide che si presentavano. Dovevano rimanere attive, a qualunque costo, per i bambini, per la famiglia e per la società. Attraverso mille notti senza aurore.
 
Il capitalismo aveva bisogno di cotone, di karité, di sesamo per le sue industrie, e la donna, le nostre madri, hanno aggiunto al lavoro che gia facevano quello della raccolta. Nelle città, là dove si supponeva fosse concentrata la civiltà emancipatrice della donna, questa si è trovata obbligata a decorare i salotti borghesi, a vendere il proprio corpo per vivere o a servire da esca commerciale nella pubblicità.
 
Sul piano materiale, le donne della piccola borghesia urbana vivono senza dubbio meglio delle nostre contadine. Ma sono più libere, più emancipate, più rispettate, più responsabilizzate?
 
Rimangono numerosi problemi, che si tratti del lavoro o dell’accesso all’istruzione, che si tratti dello status della donna nei testi legislativi o nella vita concreta di tutti i giorni, la donna burkinabé resta quella che viene dopo l’uomo anziché sua pari.
 
I regimi politici neocoloniali che si sono succeduti in Burkina hanno avuto della questione dell’emancipazione della donna quell’approccio borghese che è solo illusione di dignità e libertà. Solo alcune donne della piccola borghesia urbana erano coinvolte nella politica, secondo gli schemi della “condizione femminile” o piuttosto del femminismo primario che rivendica alla donna il diritto di imitare 1’uomo. Così, la creazione di un ministero della Condizione femminile diretto da una donna fu accolto come una vittoria.
 
Ma si aveva davvero coscienza di questa condizione femminile? Si aveva coscienza del fatto che la condizione femminile è quella del 52 per cento della popolazione burkinabé? Si sapeva che essa era determinata dalle strutture sociali, politiche, economiche e dalle concezioni retrograde dominanti, e che di conseguenza la trasformazione di questa condizione non avrebbe potuto essere compito di un solo ministero, anche se diretto da una donna?
 
È cosi che le donne del Burkina hanno potuto constatare dopo molti anni di esistenza di questo ministero che nulla era cambiato nella loro condizione. E non poteva essere altrimenti, perché l’approccio alla questione 
dell’emancipazione femminile, che aveva portato alla creazione di un simile ministero alibi, rifiutava di vedere e di porre in evidenza – allo scopo di tenerne conto – le cause vere del dominio e dello sfruttamento della donna. Non ci si deve allora stupire se, malgrado l’esistenza di quel ministero, sia cresciuta la prostituzione, non siano migliorati l’accesso delle donne all’istruzione e al lavoro; i diritti civili e politici abbiano continuato a essere ignorati, le condizioni di vita delle donne in città come nelle zone rurali non siano affatto migliorate.
 
Donna fiore all’occhiello, donna alibi politico per il governo, donna sirena clientelista alle elezioni, donna robot in cucina, donna frustrata dalla rassegnazione e dalle inibizioni imposte malgrado il suo spirito aperto! Quale che sia il suo posto nello spettro del dolore, quale che sia il modo urbano o rurale di soffrire, la donna soffre sempre.
 
Ma nello spazio di una notte la donna è arrivata al centro della famiglia e della solidarietà nazionale.
 
Portatrice di libertà, l’aurora successiva del 4 agosto 1983 ha fatto eco a quella notte affinché insieme, solidali e complementari, noi camminiamo fianco a fianco, un popolo compatto.
 
La rivoluzione di agosto ha trovato la donna burkinabé nella condizione di essere sottomessa e sfruttata da una società neocoloniale fortemente influenzata dall’ideologia delle forze retrograde. Essa doveva rompere con la politica reazionaria fino ad allora decantata e seguita in materia di emancipazione femminile, definendo in modo chiaro una politica nuova, giusta e rivoluzionaria.
 
La nostra rivoluzione e 1’emancipazione della donna
 
Il 2 ottobre 1983, il Consiglio nazionale della rivoluzione ha enunciato con chiarezza nel suo Discorso di orientamento politico la linea centrale della lotta di liberazione della donna. Si è impegnato a lavorare alla mobilitazione, all’organizzazione e all’unione di tutte le forze vive del Paese, e in particolare delle donne. Il Dop precisava: “La donna parteciperà a tutte le lotte che intraprenderemo contro le pastoie della società neocoloniale e per la costruzione di una società nuova. Sarà associata a tutti i livelli di ideazione, decisione, esecuzione nell’organizzazione della vita di tutto il Paese”.
 
L’obiettivo finale di questa grandiosa impresa è costruire una società libera e prospera in cui la donna sia pari all’uomo in tutti i campi. Non ci può essere un modo più chiaro di concepire e di enunciare la questione della donna e la lotta per l’emancipazione che ci attende.
 
“La vera emancipazione della donna è quella che la responsabilizza, che la associa alle attività produttrici, alle diverse lotte popolari. La vera emancipazione della donna è quella che induce l’uomo alla considerazione e al rispetto”.
 
Ciò indica chiaramente, compagni militanti, che la lotta per la liberazione della donna è prima di tutto la vostra lotta per il rafforzamento della rivoluzione democratica e popolare. Questa rivoluzione ormai vi dà la parola e il potere di dire e di agire per la costruzione di una società di giustizia e di eguaglianza dove la donna e l’uomo hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. La rivoluzione democratica e popolare ha creato le condizioni per questo cammino di liberazione. Ormai dovete agire sia per spezzare tutte le catene e superare tutti gli ostacoli che asserviscono la donna nelle società arretrate come la nostra, sia per assumere la vostra parte di responsabilità nella politica di costruzione di una società nuova a vantaggio dell’Africa e di tutta l’umanità.
 
Lo dicevamo già nelle prime ore della rivoluzione democratica e popolare: “L’emancipazione, come la libertà, non viene regalata, si conquista. E tocca alle stesse donne avanzare le loro rivendicazioni e mobilitarsi per farle arrivare a buon fine”. Così la nostra rivoluzione non ha solo precisato l’obiettivo da raggiungere nella lotta per l’emancipazione della donna, ma ha anche indicato le vie da seguire, i mezzi da utilizzare e i principali attori. Da quasi quattro anni operiamo insieme, uomini e donne, per conseguire vittorie e avanzare verso l’obiettivo finale. Dobbiamo essere coscienti delle lotte concluse, dei successi riportati, delle sconfitte subite e delle difficoltà incontrate per preparare e orientare meglio le azioni future. Cos’ha realizzato la rivoluzione democratica e popolare nel campo dell’emancipazione femminile? Quali i punti di forza e quali le debolezze?
 
Una delle principali realizzazioni della nostra rivoluzione è stata senza dubbio la creazione dell’Unione delle donne del Burkina (UFB), che ha dato alle donne del nostro paese un contesto e dei mezzi per portare avanti vittoriosamente la lotta. La creazione dell’UFB è una grande vittoria perché permette alle donne di unirsi in vista di obiettivi precisi, giusti, liberatori, sotto la guida del Consiglio nazionale della rivoluzione. L’UFB e l’organizzazione delle donne militanti e responsabili, determinate a lavorare per trasformare la realtà, a battersi per vincere, a cadere e cadere ancora, ma a risollevarsi ogni volta per andare avanti ancora.
 
Una coscienza nuova è nata fra le donne del Burkina e dobbiamo esserne tutti fieri. Compagne militanti, l’Unione delle donne del Burkina è la vostra organizzazione. Tocca a voi metterla a punto ulteriormente perché diventi più efficace e atta alla vittoria. Le varie iniziative intraprese dal governo negli anni scorsi per l’emancipazione della donna sono certo insufficienti, ma il cammino fatto è stato tale da porre il Burkina all’avanguardia nella lotta per la liberazione femminile. Le nostre donne partecipano sempre più ai meccanismi decisionali, all’esercizio effettivo del potere popolare.
 
Le donne del Burkina sono ovunque si costruisce il paese, sono nei cantieri, nel Sourou (la vallata irrigata), nel rimboschimento, nelle operazioni vaccinazione-commando, nelle operazioni “Città pulite”, nella battaglia della ferrovia ecc. Progressivamente, le donne del Burkina prendono terreno e si impongono, sgominando così tutte le concezioni fallocratiche e arretrate degli uomini. E continueranno finche la donna non sarà presente in tutto il tessuto sociale e professionale del paese. La nostra rivoluzione, per tre anni e mezzo, ha operato per l’eliminazione progressiva delle pratiche che sminuivano la donna, come la prostituzione, il vagabondaggio, la delinquenza delle ragazzine, il matrimonio forzato, l’infibulazione e le condizioni di vita particolarmente difficili della donna.
 
Contribuendo a risolvere ovunque il problema dell’acqua, contribuendo anche all’installazione di mulini nei villaggi, diffondendo i focolai migliorati, creando asili popolari, diffondendo le vaccinazioni, promuovendo l’alimentazione sana e varia. La rivoluzione contribuisce senza dubbio a migliorare le condizioni di vita della donna burkinabé.
 
Allo stesso modo, la donna deve impegnarsi di più nella messa in pratica delle parole d’ordine antimperialiste, a produrre e consumare burkinabé, affermandosi sempre come agente economico di primo piano, produttore e consumatore di beni locali.
 
Senza dubbio, la rivoluzione di agosto ha fatto molto per l’emancipazione della donna, ma è lungi dall’averla compiuta. Molto resta da fare.
 
Per compiere quel che resta da fare, dobbiamo anzitutto essere coscienti delle difficoltà da superare. Gli ostacoli e le difficoltà sono numerosi. E in primissimo luogo l’analfabetismo e lo scarso livello di coscienza politica, tutte cose accentuate ancora dall’influenza troppo forte delle forze retrograde nelle nostre società arretrate.
 
Dobbiamo lavorare con perseveranza per vincere questi due ostacoli principali. Infatti, finché le donne non avranno una chiara coscienza della giustezza della lotta politica da condurre e dei mezzi da utilizzare, rischiamo di girare in tondo e alla fine di indietreggiare.
 
Ecco perché l’Unione delle donne del Burkina dovrà giocare appieno il ruolo che e il suo. Le donne dell’UFB devono lavorare per colmare le proprie carenze, farla finita con le pratiche e il comportamento che sono sempre stati considerati tipicamente femminili e che in effetti e per sfortuna possiamo ancora constatare osservando propositi e azioni di numerose donne. Si tratta di tutte queste meschinità come la gelosia, l’esibizionismo, le critiche incessanti e gratuite, negative e senza principi, la reciproca denigrazione, il soggettivismo a fior di pelle, le rivalità e via dicendo. Una donna rivoluzionaria deve vincere tali comportamenti che sono particolarmente accentuati presso le piccolo borghesi, perché possono compromettere il lavoro di gruppo, mentre la lotta per la liberazione della donna è un lavoro organizzato che ha quindi bisogno del contributo di tutte.
 
Dobbiamo insieme lavorare per l’accesso delle donne al mondo del lavoro. Questo lavoro di emancipazione e liberazione garantirà alla donna l’indipendenza economica, un maggior ruolo sociale e una conoscenza più precisa e completa del mondo.
 
La nostra idea di potere economico della donna deve distaccarsi dalla cupidigia volgare e dalla crassa avidità materialista che fanno di certe donne delle borse valori speculatrici, delle casseforti ambulanti. Così esse perdono ogni dignità, ogni controllo e principio, al tintinnare dei tanti gioielli e al fruscio dei biglietti di banca. Alcune di queste donne conducono purtroppo gli uomini a debiti enormi, alla concussione o alla corruzione. Queste donne sono come il fango pericoloso e fetido, sono nocive alla causa rivoluzionaria dei loro mariti o compagni militanti. In certi tristi casi, ardori rivoluzionari sono stati spenti e l’impegno del marito è stato sviato dalla causa del popolo da una donna egoista e accaparratrice, gelosa e invidiosa.
 
L’istruzione e l’emancipazione economica, se non sono ben comprese e utilmente orientate, possono essere fonte di disgrazia per la donna, e dunque per la società. Ricercate come amanti, talvolta sposate, sono abbandonate non appena arrivano le difficoltà. L’opinione pubblica è impietosa nei loro confronti: l’intellettuale si colloca male e la ricca è sospetta. Sono tutte condannate a un celibato che non sarebbe grave se non fosse l’espressione di un ostracismo diffuso di tutta una società contro vittime innocenti perché ignorano tutto del loro crimine e della loro tara, frustrate perché ogni giorno smorzano sempre più un’affettività che si muta allora in acredine o ipocondria. In molte donne il sapere ha provocato delusioni e la fortuna ha lasciato il posto a parecchie sfortune.
 
La soluzione a questi paradossi apparenti si trova nella capacita di queste sfortunate colte o ricche di mettere al servizio del popolo questa loro grande istruzione o queste loro ricchezze. Esse allora saranno assai apprezzate e perfino riverite dalle tante persone a cui avranno portato un po’ di gioia. Come potrebbero allora sentirsi sole, in queste condizioni? Come non conoscere la pienezza sentimentale quando si è riusciti a fare dell’amore di sé e per se stessi l’amore degli altri e per gli altri? Le nostre donne non dovrebbero indietreggiare davanti alle lotte multiformi che le portano ad accettarsi con pienezza, coraggio e fierezza per vivere la felicità di essere se stesse e non una copia addomesticata in funzione di un “lui”.
 
Ancora oggi, e per molte delle donne burkinabé, mettersi sotto la protezione di un uomo rimane l’obiettivo più sicuro contro un opprimente “che dirà la gente?” Esse si sposano senza amore e senza gioia di vivere, a esclusivo vantaggio di uno smargiasso, di un uomo insignificante, lontano dalla vita e dalle lotte del popolo. Sovente le donne chiedono, accigliate, l’indipendenza, pretendendo al tempo stesso di essere protette, o peggio, di essere sotto il protettorato coloniale di un maschio. Non credono che si possa vivere in un altro modo. No! Occorre dire ancora alle nostre sorelle che il matrimonio, se non porta nulla alla società e non le rende felici, non è indispensabile, e anzi deve essere evitato. Al contrario, mostriamo loro ogni giorno gli esempi di pioniere coraggiose e intrepide che nel loro nubilato, con o senza bambini, sono realizzate e radiose, piene di ricchezza e di disponibilità verso gli altri. Sono anzi invidiate dalle donne sposate infelicemente, perché destano simpatie, per la felicità che traggono dalla loro libertà, dignità e disponibilità.
 
Ormai le donne hanno dato sufficienti prove della loro capacità di governare una famiglia, allevare dei bambini, esserne insomma responsabili senza l’assoggettamento tutelare a un uomo. La società è evoluta a sufficienza perché cessi la messa al bando delle donne non sposate. Rivoluzionarie, dobbiamo agire perché il matrimonio sia una scelta che valorizza la donna e non questa lotteria in cui si sa quel che si spende ma non quel che si guadagna. I sentimenti sono cosa troppo nobile per diventare oggetti di gioco.
 
Un’altra difficoltà sta senza dubbio nell’atteggiamento feudale, reazionario e passivo di molti uomini che continuano a remare contro. Essi non hanno alcuna intenzione di veder mettere in discussione il dominio assoluto sulle donne in famiglia e nella società. Nella lotta per la costruzione della società nuova che a una lotta rivoluzionaria, questi uomini con le loro pratiche si mettono dalla parte della reazione e della controrivoluzione. Infatti, la rivoluzione non ci può essere, senza una vera emancipazione delle donne. Dobbiamo dunque, compagne militanti, avere coscienza chiara di tutte queste difficoltà per affrontare meglio le lotte future.
 
La donna come l’uomo possiede qualità ma anche difetti ed ecco senza dubbio la prova che la donna é uguale all’uomo. Mettendo deliberatamente l’accento sulle qualità della donna, non abbiamo di lei una visione idealizzata. Vogliamo solo mettere in risalto le sue qualità e le sue competenze che l’uomo e la società hanno sempre nascosto per giustificare lo sfruttamento e il dominio sulla donna.
 
Come ci organizziamo per accelerare il cammino verso 1’emancipazione?
 
I nostri mezzi sono irrisori, ma la nostra ambizione è grande. La nostra volontà e la convinzione di andare avanti non bastano per condurre la nostra sfida. Dobbiamo raccogliere le forze, tutte le nostre forze, attivarle, coordinarle nel senso del successo della nostra lotta. Da più di due decenni si è parlato molto di emancipazione nel nostro paese, ci si è molto emozionati. Si tratta oggi di affrontare la questione dell’emancipazione in modo globale, evitando le fughe di responsabilità che hanno portato a non impegnare tutte le forze nella lotta e a fare di questa questione una questione marginale, evitando egualmente le fughe in avanti che lascerebbero qualcuno indietro, quelli e soprattutto quelle che devono essere in prima linea.
 
A livello governativo, si metterà in essere un piano d’azione coerente a favore delle donne, guidato dalle direttive del Consiglio nazionale della rivoluzione che coinvolga l’insieme dei dipartimenti ministeriali, così da collocare le responsabilità di ciascuno in compiti di breve e medio periodo. Questo piano d’azione, lungi dall’essere un catalogo di pie intenzioni e simili, dovrà essere il filo conduttore dell’ intensificazione dell’azione rivoluzionaria.
 
Questo piano dovrà essere concepito da noi e per noi tutti. Dai nostri dibattiti, ampi e democratici, dovranno scaturire le audaci risoluzioni che rivelino la nostra fiducia nella donna. Cosa vogliono gli uomini e le donne per le donne? È quel che diremo nel piano d’azione.
 
Poiché coinvolgerà tutti i ministeri, il piano prenderà assolutamente le distanze dall’abituale tendenza a marginalizzare la questione femminile e a deresponsabilizzare quei responsabili che, nelle loro azioni quotidiane, avrebbero dovuto e potuto contribuire in modo significativo a trovare soluzioni. Questo nuovo approccio multidimensionale alla questione femminile deriva dalla nostra analisi scientifica, dalla sua origine, dalle sue cause e dalla sua importanza nel quadro del nostro progetto di una società nuova, libera da tutte le forme di sfruttamento e oppressione. Non si tratta di implorare la condiscendenza di nessuno in favore della donna. Niente affatto. Si tratta di esigere che si faccia giustizia alle donne, in nome della rivoluzione che è arrivata per dare e non per prendere.
 
D’ora in poi l’azione di ogni ministero, di ogni comitato di amministrazione ministeriale sarà giudicata in funzione dei risultati raggiunti nell’applicazione del piano, oltre ai soliti risultati globali. A questo scopo, i risultati statistici registreranno necessariamente quella parte dell’azione che ha recato beneficio alle donne o che comunque le ha coinvolte. La questione femminile dovrà essere ben presente a tutti coloro che decidono, in ogni momento, in tutte le fasi delle azioni di sviluppo, dall’ideazione all’esecuzione. Infatti, concepire un progetto senza la partecipazione della donna significa usare solo quattro dita, quando ne abbiamo dieci. Significa cioè correre verso il fallimento.
 
A livello dei ministeri incaricati dell’istruzione si cercherà soprattutto di far si che l’accesso delle donne all’istruzione stessa sia una realtà, una realtà che significherà fare un passo importante verso l’emancipazione. Questo è tanto vero che ovunque le donne hanno accesso all’istruzione, il cammino verso l’emancipazione si è trovato accelerato. Uscire dalla notte dell’ignoranza permette in effetti alle donne di esprimersi e di utilizzare lo strumento del sapere per mettersi a disposizione della società. Dal Burkina Faso dovrebbero sparire tutte le forme ridicole e retrograde che facevano ritenere importante e profittevole solo l’istruzione dei ragazzi, mentre quella delle ragazze era giusto un regalo.
 
L’attenzione dei genitori per la scuola delle ragazze dovrà diventare pari a quella accordata ai ragazzi, di cui vanno fieri. Infatti, le donne hanno dimostrato di essere eguali agli uomini a scuola, quando non addirittura migliori, ed hanno diritto all’istruzione per imparare e sapere, per essere libere.
 
Nelle future campagne di alfabetizzazione, i tassi di partecipazione femminile dovranno essere innalzati per corrispondere al peso numerico delle donne nella popolazione del paese, dato che sarebbe un’ingiustizia troppo grande quella di mantenere nell’ignoranza una parte così rilevante della popolazione, la metà.
 
A livello dei ministeri che si occupano di lavoro e di giustizia, i testi dovranno adattarsi costantemente al mutamento che la nostra società ha conosciuto dopo il 4 agosto 1983, affinché l’eguaglianza di diritti fra l’uomo e la donna diventi una realtà tangibile. Il nuovo codice del lavoro, in corso di preparazione e di dibattito, dovrà essere l’espressione della profonda aspirazione del nostro popolo alla giustizia sociale e dovrà segnare una tappa importante nell’opera di distruzione dell’apparato neocoloniale. Un apparato di classe che è stato concepito e modellato dai regimi reazionari per perpetuare il sistema di oppressione delle masse popolari e in particolare delle donne. Come possiamo continuare ad ammettere che per uno stesso lavoro la donna guadagni meno dell’uomo? Possiamo ammettere il levirato e la dote che riducono le nostre sorelle e le nostre madri a status di beni materiali oggetto di transazioni? Tante e tante cose le leggi medioevali continuano a imporre al nostro popolo e alle donne del nostro popolo. È giusto che finalmente si renda giustizia.
 
A livello dei ministeri incaricati della cultura e della famiglia, un accento particolare sarà posto sulla nascita di una nuova mentalità nei rapporti sociali, in stretta collaborazione con l’Unione delle donne del Burkina. Con la rivoluzione, la madre e la sposa hanno importanti ruoli specifici da giocare nel quadro delle trasformazioni in corso. L’educazione dei bambini, la gestione corretta dei bilanci familiari, la pratica della pianificazione familiare, la creazione di una certa atmosfera in famiglia, il patriottismo sono elementi importanti che debbono contribuire efficacemente alla nascita di una morale rivoluzionaria e di uno stile di vita antimperialista, preludio di una società nuova.
 
In famiglia, la donna dovrà sforzarsi di contribuire al miglioramento della qualità della vita. In quanto burkinabé, vivere bene significa nutrirsi bene e vestirsi con tessuti del paese. Si tratterà di mantenere un quadro di vita pulito e piacevole, perché questo ha una ricaduta molto importante sui rapporti fra i membri della famiglia. Un ambiente sporco e brutto provoca rapporti della stessa natura.
 
Inoltre, la trasformazione della mentalità sarebbe incompleta se la donna nuova dovesse vivere con un uomo che appartiene al vecchio genere. L’effettivo complesso di superiorità degli uomini sulle donne non e force più pernicioso e determinante nella famiglia in cui la madre, complice e colpevole, educa i figli secondo inique regole sessiste? Sono le donne che perpetuano i complessi di genere fin dalle prime fasi dell’educazione e della formazione del carattere.
 
D’altra parte, a che servirebbe il nostro attivismo per mobilitare il militante durante il giorno, se di sera il neofita si ritrova di fronte una donna reazionaria che lo smobilita? E che dire delle incombenze casalinghe, impegnative e abbrutenti che trasformano in robot e non lasciano alcuno spiraglio per la riflessione!
 
Ecco perché occorre assolutamente agire nei confronti degli uomini e nel senso della messa in opera, su larga scala, di infrastrutture sociali come gli asili nido, le scuole materne popolari, le mense. Sarà cosi permesso alle donne di partecipare più facilmente alla discussione rivoluzionaria, all’azione rivoluzionaria. Il bambino che viene rigettato come mal riuscito per colpa della madre, o che viene monopolizzato come vanto del padre dovrà essere una preoccupazione per tutta la società che dovrà fargli godere della sua attenzione e del suo affetto. D’ora in poi, l’uomo e la donna si divideranno i compiti domestici.
 
Il piano d’azione per le donne dovrà essere uno strumento rivoluzionario per la mobilitazione generale di tutte le strutture politiche e amministrative nel processo di liberazione della donna. Compagne militanti, ve lo ripeto, per corrispondere ai bisogni reali delle donne questo piano sarà oggetto di discussione a tutti i livelli nelle strutture dell’UFB.
 
L’UFB è un organismo rivoluzionario. In questo senso e una scuola di democrazia popolare retta da principi organizzativi quali la critica, l’autocritica ed il centralismo democratico. Intende prendere le distanze dalle organizzazioni nelle quali la mistificazione si è imposta sugli obiettivi reali. Ma questa differenza sarà effettiva e stabile solo se le militanti dell’UFB condurranno una lotta risoluta contro gli errori che purtroppo persistono in certi ambienti femminili. Non si tratta infatti di riunire le donne per far passerella o con altre intenzioni demagogiche di matrice elettorale o semplicemente errate.
 
Si tratta di mettere insieme delle combattenti per conseguire delle vittorie; si tratta di organizzarsi intorno a programmi di attività decisi democraticamente all’interno dei comitati, nell’esercizio ben percepito dell’autonomia organizzativa propria a ciascuna struttura rivoluzionaria.
 
 Ogni responsabile dell’UFB dovrà essere compresa nel proprio ruolo, nella propria struttura, per poter essere efficace nell’azione. Ciò impone all’Unione di condurre grandi campagne di educazione politica e ideologica delle sue responsabilità, per rafforzare le strutture sul piano organizzativo a tutti i livelli.
 
Compagne militanti dell’UFB, la vostra unione, la nostra unione deve partecipare appieno alla lotta delle classi accanto alle masse popolari. I milioni di coscienze addormentate, svegliatesi all’indomani della rivoluzione, sono una forza potente. In Burkina Faso, il 4 agosto 1983, abbiamo scelto di contare sulle nostre forze, cioè in gran parte sulla forza che rappresentate, voi donne. Per essere utili, le vostre energie devono essere tese a liquidare le razze di sfruttatori e il dominio economico dell’imperialismo.
 
In quanto struttura di mobilitazione, l’UFB dovrà formare nelle militanti una coscienza politica solida, per un impegno rivoluzionario totale, nel compimento delle varie azioni realizzate dal governo per migliorare la condizione femminile. Compagne dell’UFB, sono le trasformazioni rivoluzionarie che creano le condizioni favorevoli alla vostra liberazione. Voi avete subito un doppio dominio: quello dell’imperialismo e quello dell’uomo. In ogni uomo dorme un essere feudale, un fallocrate che occorre distruggere. Quindi, dovete aderire con sollecitudine alle parole d’ordine rivoluzionarie più avanzate per accelerarne la concretizzazione e avanzare ancora pin velocemente verso l’emancipazione. Ecco perché il Consiglio nazionale della rivoluzione sottolinea con gioia la vostra intensa partecipazione a tutti i grandi cantieri nazionali e vi incita ad andare ancora oltre, per un sostegno sempre maggiore alla rivoluzione di agosto che è prima di tutto la vostra.
 
Partecipando in modo intenso ai grandi cantieri vi mostrate tanto più meritevoli in quanto si a sempre cercato di relegarvi in attività secondarie, con la vecchia ripartizione dei compiti a livello sociale. Invece la vostra apparente debolezza fisica non è nient’altro che la conseguenza delle regole di vanità e di gusto che questa stessa società vi impone perché siete donne. Strada facendo, la nostra società deve abbandonare concezioni feudali che fanno si che la donna non sposata venga messa al bando, senza che si capisca che questa è la traduzione del rapporto di appropriazione per il quale ogni donna deve appartenere a un uomo. Ecco perché si disprezzano le ragazze madri come se fossero le sole responsabili della loro situazione, senza ritenere l’uomo colpevole. Ecco perché le donne che non hanno figli sono perseguitate da ammuffite credenze mentre il fatto ha una spiegazione scientifica e può anche essere vinto dalla medicina.
 
D’altronde, la società ha imposto alle donne dei canoni estetici che ne pregiudicano l’integrità fisica: l’infibulazione, le scarificazioni, la limatura dei denti, la perforazione delle labbra e del naso. L’applicazione di queste regole riveste un interesse molto dubbio e, nel caso della mutilazione sessuale, compromette perfino la capacità della donna di procreare e la sua vita affettiva. Altri tipi di mutilazioni, pur meno pericolosi, come i fori alle orecchie e i tatuaggi, sono comunque un’espressione del condizionamento imposto dalla società alla donna affinché possa pretendere di trovare un marito.
 
Compagne militanti, vi curate tanto per meritare un uomo. Vi forate le orecchie, vi manipolate il corpo per essere accettate dagli uomini. Vi fate del male perché l’uomo vi faccia ancora più male!
 
Donne, compagne di lotte, è a voi che parlo. Voi che siete sfortunate in città come in campagna; voi in campagna curve sotto il peso dei diversi fardelli dello sfruttamento ignobile, “giustificato e spiegato”; voi in città, che siete considerate fortunate ma che in fondo siete tutti i giorni nell’angoscia perché non appena alzata, la donna si porta davanti al guardaroba chiedendosi cosa indossare, non per vestirsi, non per coprirsi ma soprattutto per piacere agli uomini, perché è tenuta, e obbligata a piacere agli uomini ogni giorno; voi donne al momento del pasto che vivete la triste condizione di chi non ha diritto al pasto, di chi è obbligata a risparmiarlo, a imporsi continenza e astinenza per mantenere la linea che gli uomini desiderano. Voi che la sera, prima di coricarvi, ricoperte e mascherate sotto quei numerosi prodotti che tanto detestate – lo sappiamo – ma che hanno lo scopo di nascondervi una ruga indiscreta, disgraziata, sempre ritenuta troppo precoce, un’età che comincia a mostrarsi, un doppio mento arrivato troppo presto; eccovi ogni sera obbligate a imporvi una o due ore di rituale per mantenere la bellezza, mal ricompensate d’altra parte da un marito disattento. Per poi ricominciare all’indomani all’alba.
 
Compagne militanti, ieri il segretariato generale dei Consigli per la difesa della rivoluzione ha iniziato con successo la costituzione dei comitati, delle sottosezioni e delle sezioni dell’Unione delle donne del Burkina. Il Commissariato politico, incaricato dell’organizzazione e della pianificazione, avrà la missione di completare la vostra piramide organizzativa con la creazione dell’ufficio nazionale dell’UFB. Non abbiamo bisogno di amministrazioni al femminile che gestiscano burocraticamente la vita delle donne o che parlino sporadicamente come funzionarie attente alla vita delle donne. Abbiamo bisogno di quelle che si batteranno perché sanno che senza battaglia non ci sarà distruzione dell’antico ordine e costruzione dell’ordine nuovo. Non cerchiamo di organizzare quel che esiste, ma di distruggerlo, di sostituirlo.
 
L’ufficio nazionale dell’UFB dovrà essere costituito da militanti convinte e determinate la cui disponibilità non dovrà mai far difetto, perché l’opera da portare avanti è grande. E la lotta comincia in famiglia. Queste militanti dovranno avere coscienza di rappresentare agli occhi delle masse l’immagine della donna rivoluzionaria emancipata, e dovranno comportarsi di conseguenza.
 
Compagne militanti, compagni militanti, cambiando l’ordine classico delle cose, l’esperienza dimostra sempre più che solo il popolo organizzato è capace di esercitare il potere democraticamente. La giustizia e l’eguaglianza che ne sono i principi di base permettono alla donna di mostrare che le società sbagliano a non accordarle fiducia sul piano politico come su quello economico. Così, la donna che esercita il potere a cui a giunta attraverso il popolo, è in grado di riabilitare tutte le donne condannate dalla storia.
 
La nostra rivoluzione inizia con un cambiamento qualitativo e profondo della nostra società. Esso deve necessariamente tener conto delle aspirazioni della donna burkinabé. La liberazione della donna a una necessità del futuro, ed il futuro, compagne, è ovunque portatore di rivoluzioni. Se perdiamo la lotta per la liberazione della donna, avremo perso il diritto di sperare in una trasformazione positiva superiore della nostra società. La nostra rivoluzione non avrà dunque più senso. Ed è a questa nobile lotta che siamo tutti invitati, uomini e donne.
 
Le nostre donne salgano in prima fila dunque! La loro vittoria finale dipenderà essenzialmente dalla loro capacità, dalla loro bravura nella lotta e dalla loro determinazione a vincere. Ogni donna deve saper trascinare un uomo per raggiungere la cima. E per questo che ogni nostra donna può trovare – nell’immensità dei suoi tesori di affetto e amore – la forza e l’abilità di incoraggiarci quando avanziamo e ridarci ottimismo quando ci abbattiamo. Ogni donna consigli un uomo, si comporti da madre con ogni uomo. Ci avete messi al mondo, ci avete educati e avete fatto di noi degli uomini.
 
Ogni donna – ci avete guidati fino a questo giorno – continui ad esercitare con impegno il proprio ruolo di 
madre, di guida. La donna abbia ben presente ciò che può fare; ogni donna si ricordi di essere al centro della Terra, ogni donna si ricordi di essere nel mondo e per il mondo, ogni donna si ricordi che la prima a piangere per un uomo è una donna. Si dice che al momento di morire ogni uomo chiami, nel suo ultimo respiro, una donna: sua madre, sua sorella, la sua compagna.
 
Le donne hanno bisogno degli uomini per vincere. E gli uomini hanno bisogno delle vittorie delle donne per vincere. Perché, compagne donne, accanto a ogni uomo c’e sempre una donna. La mano della donna che ha cullato l’uomo bambino, questa stessa mano cullerà tutto il mondo.
 
Le nostre madri ci danno la vita. Le nostre compagne mettono al mondo i nostri bambini, li nutrono, li fanno crescere e ne fanno delle persone responsabili. Le donne assicurano la perpetuazione dei popoli; le donne assicurano il futuro dell’umanità; le donne assicurano la prosecuzione del nostro operato; le donne permettono la grandezza di ogni uomo.
 
Madri, sorelle, compagne, non c’e nessun uomo che sia grande se non ha nessuna donna al suo fianco. Ogni uomo grande, ogni uomo forte, attinge le sue energie da una donna; la fonte inesauribile della virilità è la femminilità. La fonte inesauribile, la chiave delle vittorie sono sempre nelle mani delle donne. È vicino alla donna, sorella o compagna, che ciascuno ritrova onore e dignità.
 
È sempre da una donna che ciascuno di noi ritorna per cercare e ricercare consolazione, coraggio, ispirazione, per poi ripartire verso la lotta, per ricevere il consiglio che modererà la sua temerarietà, irresponsabile e presuntuosa. E sempre presso una donna che ritorniamo uomini, e ogni uomo è un bambino per ogni donna. Chi non ama la donna, chi non rispetta la donna, chi non la onora, ha disprezzato sua madre. Quindi, chi disprezza la donna disprezza e distrugge il punto focale da cui è scaturito, cioè si suicida da sé, perché pensa di non aver ragione di esistere, per essere uscito dal ventre generoso di una donna.
 
Compagni, guai a chi disprezza le donne! A tutti gli uomini qui e altrove, di ogni condizione e origine, a tutti gli uomini che disprezzano la donna, che ignorano e dimenticano cos’e la donna io dico: “Avete colpito una torre, sarete schiacciati”.
 
Compagni, nessuna rivoluzione, a cominciare dalla nostra, sarà vittoriosa finché le donne non saranno liberate. La nostra lotta, la nostra rivoluzione rimarrà incompiuta finché non comprenderemo la loro liberazione come quella degli uomini. Compagne, ogni donna è la madre di un uomo. In quanto figlio e in quanto uomo non mi permetterei di consigliare o indicare la strada a una donna. Ma sappiamo pure che l’indulgenza e l’affetto della madre è anche nell’ascoltare suo figlio, i suoi capricci, i suoi sogni, le sue vanità. Ed è questo che mi rassicura e mi autorizza a rivolgermi a tutte voi.
 
Ecco perché, compagne, abbiamo bisogno di voi per la vera liberazione di tutti noi. So che troverete sempre la forza e il tempo di aiutarci a salvare la nostra società.
 
Compagne, non c’è rivoluzione sociale vera se non quando la donna è liberata. Che i miei occhi non vedano una società, che i miei passi non mi trasportino in una società dove la metà della popolazione è tenuta nel silenzio. Sento il frastuono di questo silenzio delle donne, sento il rumore della loro burrasca, sento la furia della loro rivolta. Aspetto e spero nell’irruzione feconda della rivoluzione in cui le donne porteranno la forza e la rigorosa giustezza del loro animo oppresso.
 
Compagne, andiamo verso la conquista del futuro. Il futuro è rivoluzionario, il futuro appartiene a chi lotta.
 
La patria o la morte, vinceremo!

I parte

II parte

III parte

IV parte

V parte

VI parte

VII parte

VIII parte

Rooseveltpedia n°19: “Il mito di Thomas Sankara”.

Articolo di Samuele Guizzon (samuele.guizzon@movimentoroosevelt.com)

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