Thomas Sankara e “la terra degli uomini integri” (VIII parte)

thomas-sankara-e-la-terra-degli-uomini-integri-viii-parte

Oggi pubblichiamo quello che forse è il più famoso degli interventi di Thomas Sankara, il cosiddetto “Discorso sul Debito”, pronunciato ad Addis Abeba il 29 luglio 1987, in occasione dell’assemblea dell’“Organizzazione dell’unità africana”, a poche settimane dal suo assassinio.

Non commentiamo nulla a riguardo, riportiamo fedelmente il testo integrale della trascrizione: riteniamo che la portata storica e socio-economica trovino, nelle chiare parole pronunciate, il massimo della resa e dell’impatto.

Signor Presidente, Capi di delegazione,
a questo punto vorrei che fosse dibattuto un altro tema, di importanza cruciale: quello del debito, la questione della situazione economica in Africa. È una condizione importante per la nostra sopravvivenza, al pari della pace. Ed ecco perché credo sia necessario mettere sul tavolo molti punti supplementari di cui discutere. Il Burkina Faso vorrebbe prima di tutto parlare della paura che avvertiamo. Il nostro timore è che nelle riunioni delle Nazioni Unite, come in altri incontri di questo tipo, ci sia sempre meno interesse verso quel che stiamo facendo.
Signor presidente, quanti Capi di Stato africani hanno rispettato l’impegno di venire in questa sede, quando sono stati chiamati a parlare dell’Africa in Africa?
Signor presidente, quanti Capi di Stato sono sempre disponibili per le riunioni a Parigi, Londra o Washington, ma non sono mai venuti qui ad Addis-Abeba, in Africa?
So che alcuni di loro hanno ottimi motivi per non venire. Ecco perché vorrei proporre, signor Presidente, che sia stabilita una griglia di sanzioni o penalità per quei capi di Stato che non rispondono agli inviti. Facciamo che attraverso un punteggio per il buon comportamento, coloro che si presentano regolarmente – come noi, ad esempio – possano essere supportati nei loro sforzi. Per esempio: i progetti che passiamo al vaglio della Banca Africana per lo Sviluppo dovrebbero essere moltiplicati per un coefficiente di africanità. Il progetto meno africano dovrebbe essere penalizzato.
In questo modo, tutti verrebbero ai nostri meeting.
Vorrei dirle, signor Presidente, che la questione del debito non può essere taciuta oltre. Lei stesso sa che nel suo Paese si devono prendere decisioni coraggiose, perfino pericolose – decisioni che non assoceremmo ad un uomo della sua età e dai capelli grigi. Sua Eccellenza, il Presidente Habib Bourguiba, non ha potuto raggiungerci ma ci ha lasciato l’importante messaggio di un altro esempio africano, quando in Tunisia, per ragioni politiche, sociali ed economiche si sono dovute prendere decisioni coraggiose.
Tuttavia, signor Presidente, è giusto lasciare la questione del debito venga sbrigata individualmente dai singoli Capi di Stato, ignorando che questa è la ricetta per creare conflitti sociali domestici, e quindi un disordine che mette a rischio l’intera unità africana? Gli esempi che ho menzionato – e ce ne sono altri – meritano risposte concrete da parte degli incaricati ONU sul tema del debito.
Noi crediamo che il debito debba essere letto in prospettiva, partendo dalla sua origine. Sappiamo cioè che l’origine del debito è la stessa origine del colonialismo. Coloro che ci hanno imprestato denaro sono le stesse persone che ci hanno colonizzato. Sono gli stessi che governavano i nostri Stati e le nostre economie. Questi sono i colonizzatori che hanno indebitato l’Africa per mano dei loro fratelli e cugini, i prestatori di denaro. Noi non abbiamo alcuna connessione con questo debito. Dunque non è possibile per noi pagarlo.
Il debito è neocolonialismo, nel quale i colonizzatori hanno preso la veste di “assistenti tecnici”. Dovremmo piuttosto chiamarli “assassini tecnici”. Bussano alla porta per proporci fondi, ci rassicurano di avere finanziatori alle spalle. Come se avere finanziatori nell’ombra fosse un motore di sviluppo. Ci hanno offerto un set scrupoloso di finanziamenti. Ci siamo trovati sulle spalle un debito per cinquanta, sessant’anni, forse anche di più. Ciò equivale a dire che abbiamo messo sotto scacco i nostri popoli per più di cinquant’anni.
Nella sua forma corrente, cioè controllato e dominato dall’imperialismo, il debito è una riconquista dell’Africa condotta abilmente, intesa a soggiogare la sua crescita e sviluppo con forza di regolamenti stranieri. Così, ognuno di noi diventa uno schiavo finanziario, che è lo stessa cosa di uno schiavo vero, nei confronti di chi ha sediziosamente immesso denaro nelle nostre nazioni obbligandoci ad un ripianamento perpetuo degli interessi. Ci dicono che abbiamo il dovere di pagare, ma qui non si tratta di morale. Non c’è nessun supposto onore nella decisione di pagare o meno.
Signor presidente, abbiamo ascoltato e applaudito il primo ministro norvegese [Gro Harlem Brundtland] nel suo discorso. Lei è europea, ma ha detto che non possiamo ripagare tutto il debito. Il debito non può essere ripagato prima di tutto perché – se non lo facciamo – i nostri creditori non moriranno di fame. Questo è certo. Invece, se paghiamo, saremo noi a morire. Questo è altrettanto certo. Chi ci ha portato all’indebitamento ha fatto una scommessa da casinò.
Fintanto che trovavano profitto, non c’era discussione, ma ora che registrano perdite, vogliono tutto indietro. E allora si inizia a dire che siamo in crisi. No, signor presidente, loro hanno voluto giocare e hanno perso, questa è la regola del gioco, e la vita va avanti.
Non possiamo ripianare il debito perché ci mancano i mezzi per farlo.
Non possiamo pagare perché non ne siamo responsabili.
Noi non possiamo pagare, ma loro ci devono restituire ciò che neanche la più immensa ricchezza può permettersi, un debito di sangue. Il nostro sangue è corso a fiumi. Si dice sempre che il Piano Marshall ha ricostruito l’economia europea. Ma non sentiamo mai dire del piano africano che ha permesso all’Europa di fronteggiare le orde di Hitler, quando le loro economie e la loro stabilità erano in gioco. Chi ha salvato l’Europa? L’Africa. Non lo si dice, e si è talmente reticenti su questo punto che non possiamo più essere complici di questo silenzio ingrato. Se gli altri non cantano le nostre lodi, almeno noi dobbiamo riconoscere il coraggio dei nostri padri e delle nostre truppe che hanno aiutato a salvare l’Europa e a liberare il mondo dal nazismo.
Il debito è anche il risultato di un conflitto. Quando ci parlano di crisi economica, nessuno dice che questa crisi è arrivata di colpo. Qui c’è sempre stata crisi, è soltanto peggiorata di continuo, a mano a mano che le masse popolari hanno preso coscienza dei loro diritti rispetto agli sfruttatori. Oggi siamo in crisi perché le masse rifiutano che la ricchezza sia concentrata nelle mani di pochi individui. Siamo in crisi perché alcune persone stanno portando montagne di denaro al sicuro su conti correnti esteri, somme che basterebbero ad imprimere lo sviluppo che serve all’Africa. Siamo in crisi perché fronteggiamo questa ricchezza privata senza nome. E le masse popolari non accettano di vivere in ghetti e negli slums. Siamo in crisi perché, ovunque, le persone non vogliono finire come a Soweto e Johannesburg. C’è una lotta, e il montare della protesta sta preoccupando il potere finanziario. Questi ci chiedono di dare una mano con i bilanci – che vuol dire bilanciare le cose a loro favore, contro le masse popolari. No! Non possiamo essere loro complici. No! Non ci accompagneremo a chi succhia il sangue e vive del sudore del nostro
popolo. Non possiamo accodarci ai loro metodi omicidi.
Signor presidente, sentiamo parlare di questo club – il Club di Roma, il Club di Parigi, il Club di vattelappesca. Sappiamo che esistono il Gruppo dei Cinque, il Gruppo dei Sette, il Gruppo dei Dieci, magari anche il Gruppo dei Cento. Cos’altro?
È legittimo che anche noi fondiamo il nostro gruppo e il nostro club. Facciamo che Addis-Abeba diventi il centro da cui fare partire un nuovo inizio. Creiamo il Club di Addis-Abeba. È nostro dovere creare un fronte unito contro il debito. È l’unico modo per sottolineare che il nostro rifiuto di pagare non è una mossa aggressiva, ma un’azione fraterna per fare emergere la verità. Proprio in questo senso, le masse popolari europee non sono certo opposte a quelle africane.
Coloro che sfruttano l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico in comune. Quindi il nostro Club di Addis-Abeba dovrà spiegare ad ognuno come e perché il debito non deve essere ripagato. E dicendo ciò, non ci mettiamo contro la morale, la dignità e il rispetto degli impegni presi.
Sono convinto che noi non abbiamo la stessa moralità degli altri. Il ricco e il povere non hanno lo stesso codice morale.
La Bibbia e il Corano non servono agli sfruttatori allo stesso modo in cui servono agli sfruttati. Possono essere un’arma utile ad entrambi gli schieramenti, basta pubblicare due versioni differenti della Bibbia e altre due del Corano.

Non accettiamo lezioni su cosa sia o debba essere la nostra dignità. Non possiamo accettare che parlino del merito di chi paga, e della sfiducia di chi non lo fa. Al contrario, dobbiamo riconoscere che oggi di norma i più ricchi sono i più ladri. Quando un poveraccio ruba, è uno scippo, è un crimine di poco conto – fatto per sopravvivere e per necessità. I ricchi sono coloro che rubano dalle casse dal Tesoro, dai dazi doganali, e che sfruttano le persone.
Signor presidente, non sono venuto semplicemente a dare spettacolo. Mi preme dire apertamente quel che ciascuno di noi presenti pensa e spera. Chi di voi non prega che il debito venga cancellato una volta per tutte? Se c’è qualcuno, allora che esca, prenda il suo aereo e vada a regolare i conti alla Banca Mondiale! Tutti noi speriamo la stessa cosa…e io non propongo niente di più.
Non voglio che la gente veda la proposta del Burkina Faso come un segno di eccessiva gioventù, di un popolo immaturo ed inesperto. Non voglio nemmeno che passi il concetto per cui solo i rivoluzionari parlano così. Vorrei che si ammettesse la mera oggettività e logica di questo discorso. Posso dare altri esempi di altri che ci hanno consigliato di non pagare il debito – rivoluzionari e non rivoluzionari, giovani e anziani. Citerei Fidel Castro, per esempio; non ha la mia età, sebbene sia un rivoluzionario. Ma potrei dire anche François Mitterrand, secondo cui le nazioni africane, le nazioni povere, non possono pagare. Menzionerei anche la signora Primo ministro norvegese – non conosco la sua età
e sarei maleducato a chiedergliela – ma ecco, è un altro esempio. Ma menzionerei anche il presidente Félix Houphouet-Boigny; non ha la mia età ma ha pubblicamente e ufficialmente dichiarato che – per quanto lo riguarda – il suo Paese, la Costa d’Avorio, non può pagare. Si tenga conto che la Costa d’Avorio è tra le nazioni più ricche in Africa, almeno in quella francofona; e come per una legge di natura, è uno dei Paesi che deve pagare più di altri. Signor presidente, mi creda, la mia non è una provocazione..Vorrei che ci offrisse qualche proposta vera e intelligente. Vorrei che la nostra conferenza dicesse chiaro e forte che non possiamo pagare. Non certo con toni di guerra o bellicosi – ma per evitare che veniamo assassinati individualmente. Se è soltanto il Burkina Faso ad alzare la mano e ad opporsi, non potrò partecipare alla prossima conferenza!
Invece, con il supporto di tutti, che è quello che mi serve, con questo supporto nessuno di noi dovrà pagare. Così facendo, potremo destinare le nostre magre risorse allo sviluppo delle nostre terre.
Vorrei concludere dicendo che ogni armamento acquistato dalle nazione africane è un’arma contro l’Africa stessa. Non contro nazioni europee, non contro gli asiatici, è contro l’Africa. Di conseguenza, dovremmo trarre vantaggio dal tema del debito per risolvere il problema delle armi. Io stesso sono un soldato e porto un’arma. Ma – signor Presidente – vorrei che iniziassimo a disarmarci. Perché ho con me l’unica arma che possiedo, ed altri hanno in tasca ogni tipo di pistole ed armamenti. Quindi, cari fratelli, con la volontà di tutti, noi proclameremo la pace a casa nostra. Faremo anche uso delle nostre immense potenzialità per dare uno sviluppo all’Africa, grazie alla ricchezza delle nostre terre e del nostro sottosuolo. Abbiamo persone a sufficienza, e un grande mercato – da Nord a Sud, dall’Est all’ovest. Siamo
abbastanza intelligenti per creare, o perlomeno usare la tecnologia e le scoperte scientifica di cui veniamo a conoscenza.
Signor Presidente, formiamo un fronte di Addis-Abeba unito contro il debito. Impegniamoci a ridurre gli armamenti tra le nazioni più deboli e più povere. Le mazze e i coltelli che compriamo non servono a nulla. Facciamo sì che il mercato africano diventi il mercato per gli Africani: produciamo in Africa, processiamo in Africa, consumiamo in Africa.
Produciamo quel che ci serve e consumiamolo, anziché importarlo. Il Burkina Faso è giunto qui per mostrarvi il cotone che abbiamo iniziato a fabbricare, che è filato in Burkina Faso, seminato in Burkina Faso, per vestire i cittadini del Burkina Faso. La nostra delegazione è vestita, e anch’io lo sono, dai nostri tessitori e dai nostri contadini. Non c’è un solo filo di cotone che arrivi dall’Europa o dall’America. Non è una sfilata di moda, vorrei soltanto dire che dobbiamo accettare di vivere come africani – che è l’unico modo di vivere liberi e degni.


Addis Abeba, 29 luglio 1987

I parte

II parte

III parte

IV parte

V parte

VI parte

VII parte

Rooseveltpedia n°19: “Il mito di Thomas Sankara”.

Articolo di Samuele Guizzon (samuele.guizzon@movimentoroosevelt.com)

Per le vostre segnalazioni scriveteci a triveneto@movimentoroosevelt.com – Movimento Roosevelt Triveneto è il blog dei cittadini del Triveneto. Indicateci fatti, problemi, iniziative sul territorio. Vogliamo dar voce a voi.

Condividi