Un’idea a sostegno della povertà e dei senza tetto

Senza tetto

Usiamo in modo adeguato la Protezione Civile, questa la proposta di un Rooseveltiano del Friuli Venezia Giulia. Conosciamo meglio le sue sensazioni.

Scorrendo le pagine dell’ultimo numero di Altroconsumo, a pagina 8 mi imbatto in un trafiletto intitolato “Povertà fuori controllo”: un milione di nuovi poveri nel 2020 per la crisi economica causata dal Covid. Sono gli ultimi dati Istat, 1 italiano su 10 vive in gravi difficoltà. Le famiglie totalmente indigenti sono 335.000 in più (+7,7%) rispetto al 2019.

La mente ritorna ad un altro articolo del 21 marzo intitolato “Coda record a Pane Quotidiano” a Milano, dove si evidenzia come quotidianamente si crei una coda di persone bisognose lunga un centinaio di metri. È un disastro figlio del Covid19 o delle politiche applicate per combatterlo? È il fallimento della scienza e della politica? Immaginiamo che in tutte le grandi città, italiane ed estere, la situazione non sia molto diversa. Tra le tante code pubblicizzate in questi giorni, quella dei vaccini su tutte, manca sempre quella della gente alla ricerca di un aiuto alimentare. I potenziali morti di fame che il dottor Galli non vedeva (una delle tante profezie del dottore non verificatesi), si sono materializzate e sono in aumento nel silenzio totale, o quasi, dei media, relegati nell’angolo della vergogna.

Secondo Unimpresa la crisi economica innescata dall’emergenza sanitaria “ha contribuito a estendere il perimetro delle persone in difficoltà con l’area di disagio ancora più ampia: ai 4,1 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (776mila persone) sia quelli a orario pieno (1,9 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (711mila), i collaboratori (225mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,7 milioni). Questo gruppo di persone occupate – ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute – ammonta complessivamente a 6,3 milioni di unità: in condizioni precarie o economicamente deboli, contribuiscono a estendere la platea degli italiani in crisi, che vivono sull’orlo del baratro, sempre più vicini alla povertà”.

Federica De Lauso dell’ufficio studi Caritas italiano, afferma all’Adnkronos che “al momento i nuovi poveri sono la metà delle persone che si rivolgono alle nostre strutture, stiamo parlando del 48%, rispetto al 31% della pre-pandemia. Aumentano gli italiani, le donne con figli minori e le fasce giovanili, toccate dal precariato e dai contratti a tempo determinato“. “Siamo allineati con i dati Istat che parlano di 5,6 milioni di poveri assoluti a fronte dei 4,6 del 2019 – aggiunge -. Sono principalmente i giovani e le donne che ci chiedono aiuto. Donne che molte volte si fanno portavoce dell’intero nucleo familiare”.

L’area di disagio sociale in Italia comprende 10 milioni e 406mila persone. Il dato è superiore a quello di un’analoga rilevazione del 2015, quando il totale degli italiani in difficoltà si era attestato a quota 9,2 milioni.

Di fronte a questa tragedia dilagante, mi è tornata alla mente una vecchia idea, o sogno, di qualche anno fa prima della mia avventura lavorativa in Scozia. Al netto delle varie ruberie e degli sprechi perpetrati nelle tragedie emergenziali italiane del passato, mi sono sempre chiesto come fosse possibile farsi trovare sempre impreparati, e di come l’unica soluzione a queste situazioni fosse la raccolta fondi basata su messaggi telefonici e bonifici su conti correnti sconosciuti di cui ancora oggi non si sa se abbiano portato a qualcosa di utile.

Eppure ancora oggi non esiste una soluzione concreta, nessuno ci pensa, nessuno si muove. Tra le tante emergenze ce n’è una dimenticata e perenne: quella dei senza tetto. Un’emergenza che questa crisi rischia di ingigantire. Basta fare un giro per i quartieri delle città italiane e del mondo, per sincerarsi del problema. Persone sedute ai bordi delle strade o sdraiate in improbabili sacchi a pelo di cartone o sotto coperte recuperate chissà dove, con la gente distratta o assuefatta, incurante della loro presenza. Aprendo bene gli occhi è facile imbattersi anche in edifici e depositi sfitti o abbandonati a se stessi. Oggi con la questione Covid in corso, questi immobili sono in continuo aumento. Ma cosa potrebbe accomunare il problema dei senza tetto con gli immobili abbandonati? Fra poco ci arriviamo. Lasciatemi prima fare un’altra osservazione forse un po’ polemica, su come, improvvisamente, sia così facile concedere locali, depositi, spazi fieristici gratuitamente per le vaccinazioni, ma non ci sia la stessa attenzione nell’utilizzare lo stesso tipo di locali abbandonati o attualmente inutilizzabili, per dare riparo quotidiano alle persone bisognose.

Facendo un’analisi degli appartati a disposizione e agganciandoci queste disponibilità, mi rendo conto di quanto sarebbe semplice, solo volendo, creare una rete solidale ed efficiente ad appannaggio dei bisognosi.

Non serve creare onlus o associazioni varie, basterebbe usare in modo adeguato la Protezione Civile, già ramificata in tutto il territorio nazionale, e l’appoggio delle associazioni regionali, provinciali e comunali. Il meccanismo si potrebbe basare essenzialmente su 5 punti:

  • emanare una legge che coinvolga la Protezione Civile attivandola per una raccolta e censimento (mensile, annuale) di indumenti, mobili e oggetti inutilizzati da conservare in depositi appositi pronti per qualsiasi esigenza emergenziale (povertà, terremoti, smottamenti, ecc..). In questo modo non servirebbe attivare raccolte fondi improvvisate dove non si sa mai dove vadano a finire e come vengano usati i soldi che, il più delle volte, rimangono bloccati dalla burocrazia. Una parte economica potrebbe venire organizzata al bisogno con finalità specifiche quali l’acquisto emergenziale di alimenti per il sostentamento, ma sempre appoggiandosi ad associazioni territoriali già finalizzate a questo scopo. Ma anche in questo in questo caso, basterebbe attivare la Protezione Civile per una raccolta straordinaria di alimenti attraverso supermercati e mercati coperti, e questo ci porta al punto seguente;
  • nella stessa legge si darebbe anche l’incarico di raccogliere, a fine giornata, tutti gli avanzi e le rimanenze dai locali pubblici, supermercati e mercati coperti, in modo che,  invece di essere buttati o messi in offerta perché in scadenza, verrebbero messi a disposizione per le mense giornaliere dei poveri;
  • sulla questione mense, sarebbe interessante provare a coinvolgere i locali pubblici che, a turno nei giorni di chiusura, si prenderebbero in carico di organizzare e preparare i pranzi e le cene;
  • fare un censimento degli immobili inutilizzati e in buono stato da adibire a dormitori, mense e depositi gestiti da volontari delle varie associazioni territoriali, ONLUS, pensionati, Protezione Civile, militari e alpini, prevedendo anche la possibilità di rimettere a nuovo gli immobili abbandonati;
  • nella ricerca di immobili e personale di appoggio, prevedere la possibilità di una collaborazione Stato-Chiesa considerato che il Vaticano, o meglio la chiesa italiana, dispone di molti immobili inutilizzati sul territorio italiano, e del fatto che i vari movimenti cattolici potrebbero essere di supporto visto che già ottemperano a questa finalità.

A tal proposito è interessante l’analisi di un articolo del 2019 apparso sulla rivista Vita dove si evince che “In Italia nel 2016 sono stati chiusi 28 conventi ogni mese, per un totale di 335 […]I fedeli, i preti e i consacrati della Chiesa Cattolica italiana stanno diminuendo con la conseguenza che alcuni immobili ecclesiastici risultano sotto utilizzati o inutilizzati. Ad esempio il numero delle religiose italiane in 40 anni ha subito un calo di oltre il 40%, passando da 147.286 nel 1975 a 80.208 nel 2015. La storia del welfare italiano ci racconta che in passato queste suore hanno realizzato servizi sociali costruendo immobili per ospitare attività caritative: avevano contenuti da ospitare e così sono stati realizzati immobili destinati a contenere opere di assistenza socio sanitaria, educativa ed altro. Oggi alcuni di questi “contenitori” cercano “nuovi contenuti” […]gli immobili ecclesiastici italiani non sono di proprietà del Vaticano, bensì fanno capo a uno dei 29.932 enti ecclesiastici civilmente riconosciuti dallo stato italiano (dati al 31.12.2015 forniti dal Ministero degli Interni, Direzione centrale degli Affari dei culti). È un numero ragguardevole pari a 3 volte gli enti pubblici italiani (escluse scuole e ASL) che comprende oltre 25.000 parrocchie, 226 diocesi, istituti religiosi, istituti per il sostentamento del clero e molti altri enti, tutti possibili proprietari degli immobili della Chiesa. La varietà e l’ampio numero dei soggetti proprietari rende comprensibile l’assenza di un censimento dei beni immobili della Chiesa italiana. Ad oggi nessuno conosce il numero e la consistenza del patrimonio immobiliare della chiesa italiana.

E ancora “Il CIC (codice del diritto canonico) nel can. 1254 precisa che i beni temporali di cui fanno parte gli immobili sono un mezzo per raggiungere i fini della Chiesa cattolica così individuati: «ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di apostolato sacro e di carità, specialmente a servizio dei poveri». Ovvero un ente ecclesiastico non può possedere un immobile senza che il suo uso sia destinato alle finalità della Chiesa. Pertanto, tornando all’esempio dei conventi chiusi, è evidente che per il CIC non è ammissibile che detti immobili restino vuoti perché in tale stato non corrispondono alle finalità della Chiesa”.

Insomma i locali non mancano, le forze a disposizione sarebbero già predisposte, quello che manca, come sempre, è la volontà e un piano chiaro e dettagliato. Tra gli attuali politici al governo c’era chi aveva promesso che avrebbe combattuto la povertà. In attesa che tale promessa cominci a essere messa in atto, i miei umili suggerimenti potrebbero essere un punto di partenza.

Articolo di Redazione di Blog Triveneto Movimento Roosevelt

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