Passaporto vaccinale e cure Covid in Veneto

Premetto che lo scopo dell’articolo non è assolutamente quello di definire quale sia la migliore delle vie, che allo stato attuale delle cose è impossibile definire, ma aprire un ventaglio di possibilità in contrapposizione all’apparente inevitabilità della vaccinazione; vaccinazione che rimane sempre e comunque una scelta che ogni libero cittadino deve poter effettuare, in una direzione o nell’altra, nel pieno della sua responsabilità e possibilità di informarsi autonomamente. Sterili discussioni “NOVAX-SIVAX”, o altre etichettature per il più classico dei paradigmi del divide-et-impera, crediamo sia il caso di lasciarle a chi è impossibilitato a fornire informazioni e ragionamenti utili alla edificazione di un dibattito costruttivo e funzionale al superamento di quella che, a tutti gli effetti, è la stagione più difficile dal secondo dopoguerra a oggi.

Il passaporto vaccinale in Veneto è uno strumento che sembra inevitabile, stando alle parole del governatore Luca Zaia:

«I tempi sono maturi per il passaporto sanitario. Stiamo lavorando per il passaporto vaccinale, ma dobbiamo arrivare a inoculare più vaccini possibili. Io credo all’utilità del passaporto vaccinale, ma come puoi chiederlo se non sei comunità Covid-free?»

e ancora:

«Il vaccino certamente è volontario, ma chi rappresenta un rischio per gli altri avrà dei problemi. Le compagnie aeree hanno iniziato a dire che vogliono passeggeri con la garanzia del vaccino, ma presto cominceranno a chiederlo le strutture ricettive, gli spazi per congressi e via dicendo. Il Veneto è la prima Regione ad avere un’analisi vaccinale aggiornata e digitalizzata e quindi possiamo procedere celermente». (Fonte: https://www.milanofinanza.it/news/il-passaporto-anti-covid-di-zaia-2510726)

Tralasciando il fatto che il governatore sia inorgoglito per ciò che è a tutti gli effetti un atto blasfemo nei confronti della nostra Costituzione, vorrei sottolineare come, tra le righe, viene palesemente evidenziato dallo stesso governatore, che non sia più la politica a definire le linee guide della nostra società, ma lo siano le decisioni prese da società private che rendono necessarie adeguate contromisure politiche.

In contemporanea, la campagna vaccinale in Veneto, che sembra l’unica priorità nonché soluzione, procede secondo lo schema:

(Immagine da: https://www.regione.veneto.it/documents/10793/7927284/freccia+fasi+vaccinazione+rev++04_03_2021+copia.png/7b937f60-430e-4360-a350-424f57d396c2?t=1614848257972)

Fortunatamente, è di questi giorni una notizia che potrebbe significare un cambio paradigmatico della strategia di contrasto al coronavirus.

Proprio in questi giorni, nello specifico durante la conferenza stampa giornaliera di aggiornamento della Regione Veneto del 19 marzo 2021, oltre al solito bollettino fine a se stesso, esce una novità che è nostra cura sottolineare: la dr.ssa Evelina Tacconelli (Direttore UOC Malattie Infettive e Tropicali, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona) descrive l’inizio della sperimentazione con anticorpi monoclonali su due pazienti maschi sintomatici con test molecolare positivo (55-65 anni): si tratta della somministrazione di un anticorpo di tipo IGG (prodotto dall’azienda Lilly) in attesa dell’arrivo di un nuovo preparato che combini due anticorpi monoclonali (prodotto da Roche) con risultati ancora più confortanti.

Il protocollo di somministrazione attuale prevede un’infusione di un’ora, seguita da un’osservazione del paziente per tutta l’ora seguente; per le successive 4 settimane, sarà il medico di base a supervisionare le eventuali reazioni avverse nel paziente e, in caso di guarigione, chiuderà la cartella clinica inviando successivamente i dati all’AIFA.

I risultati sui primi due pazienti sono confortanti: nessuna reazione avversa nell’immediato periodo successivo alla somministrazione e nemmeno nei giorni successivi.

All’Italia è stata consegnata una prima tranche di 4000 dosi (200 per il Veneto); la stessa dr.ssa Tacconelli riporta che il dato di 100-150 dosi/settimana come quantità minima per la regione Veneto è emerso dalle loro proiezioni.

La speranza è che questo sia un piccolo passo verso un cambio sostanziale di azione contrastante, e pure di filosofia, con l’obiettivo di raggiungere un protocollo di cura parallelo all’ipotesi vaccinazioni che tanti dubbi sta creando.

Ci auguriamo che altre terapie che hanno manifestato risultati importanti siano prese in considerazione nella narrazione corrente, come ad esempio la plasmaferesi con plasma iperimmune sviluppata con risultati piuttosto soddisfacenti dal team del dott. De Donno. Ci rimettiamo direttamente alle parole del primario di Pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova a RadioRadio, per la descrizione della tecnica.

«Il plasma, in questo momento, è l’unico farmaco specifico contro il covid. Non ce ne sono altri. È, cioè, l’unico farmaco che agisce utilizzando le sostanze bioumorali presenti nel sangue dei guariti e usando gli anticorpi diretti contro il coronavirus. In pratica, è come se noi inoculassimo nei pazienti malati un vaccino che ha fatto il suo effetto dopo 20 giorni. Il plasma, quindi, è un qualcosa di molto più potente di un vaccino.

Il bello è che il nostro modello non varrà solo per il covid, ma in generale per tutte le manifestazioni virologiche che potrebbero presentarsi in futuro. Non utilizzare il ‘plasma di convalescenza’ non è un peccato veniale, ma un peccato mortale. Dico questo perché fino a questo momento abbiamo avuto qualche ostacolo per esportare questa terapia. L’ospedale San Matteo di Pavia è stato il capofila della sperimentazione con l’ospedale Carlo Poma di Mantova, ma siamo rimasti in due. Adesso si stanno muovendo altri centri medici, che stanno vedendo il nostro grado di soddisfazione sui primi 50 pazienti – prosegue. – C’è Padova che è pronta a partire col nostro protocollo. E tutto questo per noi è fonte di gioia, siamo orgogliosi che questo protocollo venga esportato. In questo momento, grazie ai nostri appelli social e televisivi ai donatori di sangue, solo oggi ho ricevuto 300 email di persone guarite da covid, che hanno espresso la volontà di donare il plasma. Con la plasmaterapia riusciamo a svezzare i pazienti dalla ventilazione meccanica in tempi rapidissimi: se prima erano necessari circa 15 giorni, adesso riusciamo a dimetterli dopo 5-6 giorni, ma già dopo 24 ore iniziamo il percorso di svezzamento dal ventilatore meccanico. In realtà, siamo molto cauti, perché potremmo svezzarli anche prima delle 24 ore.»

La terapia sembra avere ottimi risultati, ma non viene, a nostro parere, sufficientemente messa in primo piano; si avvale della donazione di plasma da parte di persone guarite da Covid.

Possono donare tutti i pazienti con diagnosi di infezione da Sars-Cov-2 (Covid-19) dimessi dai reparti di ricovero, o che abbiano avuto la malattia e siano stati curati a casa, e che rispondano ai seguenti requisiti:

  • abbiano un’età compresa tra i 18 anni e 60 anni;
  • siano risultati positivi al virus Sars-Cov-2 (tampone positivo);
  • abbiano manifestato sintomi correlati alla malattia (febbre, raffreddore, artralgie, perdita del gusto/olfatto, polmonite ecc.);
  • abbiano poi eseguito almeno un tampone con risultato negativo dopo 10 giorni dalla comparsa dei sintomi e dopo almeno 3 giorni dalla scomparsa dei sintomi.

Sono esclusi dalla donazione:

  • donne che abbiano avuto gravidanze o aborti;
  • uomini/donne che abbiano ricevuto precedenti trasfusioni;
  • pazienti affetti anche in passato da patologie neoplastiche.

Per ricevere informazioni o prenotare un appuntamento per la donazione di plasma iperimmune, previa esecuzione di esami specifici, è possibile contattare i Centri trasfusionali di raccolta attivi nella provincia di Padova:

  • Ospedale di Schiavonia-Monselice: tel. 0429 715 333 e 0429 715 336, dal lunedì al venerdì con orario 8.00-13.30;
  • Ospedale di Piove di Sacco: tel. 049 971 8342, dal lunedì al venerdì con orario 8.00-13.30;
  • Ospedale di Camposampiero: tel.049 932 4852, dal lunedì al venerdì con orario 10.00-15.00;
  • Ospedale di Cittadella: tel. 049 942 4877, dal lunedì al venerdì con orario 10.00-15.00;
  • Centro Raccolta Sangue Padova – via dei Colli: tel. 338 659 8918, dal lunedì al venerdì con orario 9.00-14.00, lasciando un messaggio in altri orari per essere richiamati

Altra terapia che sembra avere ottimi riscontri è l’ozonoterapia. Dal sito della Società Scientifica Ossigeno Ozono Terapia (https://www.ossigenoozono.it) si trova la descrizione di uno studio pubblicato sulla rivista “Innovation” del 25 novembre avente titolo “Recovery of Four COVID-19 Patients via Ozonated Autohemotherapy”, che analizza i dati relativi a 4 pazienti Covid-19 ricoverati in gravi condizioni e guariti in modo completo dopo tale trattamento presso l’ospedale Haihe dell’Università di Tianjin, eccellenza nel panorama cinese.

Due dei quattro pazienti (tutti nella fascia 56-77, due uomini e due donne) erano fumatori e 3 non avevano problemi medici preesistenti. Presentatisi al ricovero con febbre, tosse, mancanza di respiro e diarrea, sono stati collegati alla maschera di ossigeno: poco dopo l’inizio della terapia di autoemoinfusione con ozono tutti i valori sono tornati normali e quelli relativi all’infezione si sono ridotti notevolmente. Addirittura lo studio clinico sottolinea che il paziente 1 aveva sviluppato una grave ipossiemia refrattaria ed era stato ricoverato in unità di terapia intensiva (ICU); dopo tomografia computerizzata del torace, si evidenziava opacità bilaterale e versamento pleurico. Dopo il trattamento con ossigeno-ozono, l’immagine radiografica del torace del paziente 1 mostrava un miglioramento delle lesioni polmonari, poi totalmente guarite alla fine del ciclo di ozonoterapia.

A distanza di un mese i quattro pazienti trattati con ossigeno-ozonoterapia sono stati sottoposti a tomografia computerizzata (TC) del torace e le scansioni hanno rivelato che la quasi totalità delle lesioni polmonari si era risolta. Per avere un termine di confronto, il fratello minore del paziente 1, anch’egli positivo al Covid-19, è stato ricoverato e curato con la terapia tradizionale. Il paziente curato con ossigeno ozono, pur essendo in condizioni più gravi, è guarito in tempi più brevi del fratello minore. Oltre a ciò, il costo medico relativo al ricovero del paziente 1 è stato di 15.467 dollari, mentre per il fratello minore trattato con terapia convenzionale il costo complessivo del ricovero è stato di 139.935 dollari. A tale proposito, gli autori della ricerca hanno scritto che «l’autoemoterapia ozonizzata non è solo una procedura sicura e priva di rischi, ma anche un trattamento molto più pratico ed economico, e questo può avvantaggiare la popolazione globale di pazienti Covid-19 con ipossiemia refrattaria».

«Questi risultati – conclude lo studio – indicano che l’autoemoterapia ozonizzata può essere una nuova strategia per il trattamento di pazienti infetti da coronavirus».

La sensazione, quindi, è che effettivamente la via di cura per il Covid-19 sia dietro l’angolo se non già reale e attuale, oltre che attuabile.

Lasciano, per usare un eufemismo, un po’ perplessi i punti di vista della narrativa dominante o, come si usa dire mainstream: il dogma del vaccino come unica via di superamento dell’attuale situazione sanitaria; la semplicità di associazione tra la morte di questi pur tragici mesi e l’infezione da Covid19 che si scontra pesantemente con la perentorietà con cui si esclude senza grosse remore le possibili connessioni tra le somministrazioni dei vaccini e le morti avvenute nei giorni immediatamente seguenti.

Come da premessa, non è scopo di questo articolo dare indicazioni su quale sia la via migliore; lo scopo è aprire un dibattito costruttivo e magari pure un’ennesima via di discussione e miglioramento del già esistente, in uno sforzo comune che ci vede tutti coinvolti.

Come Movimento Roosevelt rimarremo vigili, ferrei e intransigenti nella ricerca della verità, con l’ombra del dubbio accanto alla nostra sempre presente lungo il cammino.

Articolo di Samuele Guizzon

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